Le sagge colline silenziose nate da carezze e lavoro

Arpino ritrae la Langa, dove il paesaggio è uguale ai volti Un Far West molto umano che alle parole preferisce i fatti

Le sagge colline silenziose nate da carezze e lavoro

A volte può sembrar nata da una carezza, come se la mano gigantesca e benevola di un dio sconosciuto si fosse divertita a rotolare tra queste colline, e fiummorbidendo e giocando. A volte può sembrare che questa mano divina abbia, invece, arruffato tutto, schiaffeggiato boschi e declivi, impresso l'onda di un vento nero nei gorghi della polvere, nei solchi sui sentieri, e scaraventato a casaccio un campanile, un torracchione lebbroso, un grumo di case sbilenche.

È una terra di fulmini, di ispide solitudini, di silenzi. Dopo il fulmine, dopo le apprensioni e i pazienti, ruvidi pensieri covati dalle solitudini contadine, dopo lunghi silenzi sotto la neve e le grandi estasi estive, sbocciano i suoi particolarissimi e terrigni miracoli: cioè vini preziosi, talora introvabili se non possiedi le mappe segrete per la ricerca, e indescrivibili tuberi (quante parole sui tartufi! Che appunto si ritengono figli dei fulmini e dopo eccessi di descrizioni risultano l'autentica pietra filosofale dei gastronomi, un qualchecosa più legato all'alchimia che alla cucina) e semplici tocchi di presenza umana: il mercato e il gioco del pallone, le feste di settembre e i falò, tutti itinerari cifrati che ricordano non tanto Omero ma Lucrezio.

La Langa è terra esperta, terra che sa. È nata dal mare e nelle sue vigne riappaiono, sotto la zappa, conchiglie. Ha avuto soldati e predoni, vagabondi e duchi, artisti giudicati come folli e pazzi nominati come artisti, ha fornito carne umana a signorotti e a re d'ogni tempo, alle vene migratorie mai tracciate sulle carte e alle trincee più sanguinose e sconosciute. È il nostro Far West, naturalmente educato e mascherato, ma proprio per questo più difficile (più affascinante) da penetrare. Non basta il cavallo, non bastano le pistole, gli speroni, la stella da sceriffo. Devi possedere una dimensione umana, da confrontare e specchiare in quella che lì trovi.

Quando un luogo assomiglia ai volti di chi lo abita, allora è autentico. E la faccia (il ghigno, la grinta, la ruga, la smorfia, il sorriso, il proverbio facile, la scontrosità come difesa, la confidenza improvvisa come atto di stima, mano amica che si tende) dell'uomo della Langa raccoglie in sé le stimmate di un paesaggio che è storia, emblema, destino, non soltanto immagini. I discorsi sono duri e sobri, mai slacciati dalla realtà anche se il cervello di ognuno coltiva evasioni: perché qui si scappa, ci si ribella, ci si butta nel pozzo, si spara, in obbedienza a un codice severo, sedimentatosi attraverso abitudini secolari e mai ottimistiche. Qui l'uomo nasce avendo sulla fronte la croce di cosa vuol dire vivere, resistere, portar pazienza, subire, ma non all'infinito. Qui - fino a poco tempo fa, ma forse anche oggi - un neonato lo si immergeva in un mastelletto di vino, e il vino era stato riscaldato con un ferro rovente. La corteccia umana doveva subito essere rinforzata contro la malora e le debolezze organiche.

Qui il culto del lavoro non è mai disgiunto dall'amore del rischio, dell'azzardo. Uomini che hanno mangiato pane e pomodori per trent'anni, in vista della futura cascina, non esitano un attimo a gettarla su un biliardo, se provocati.

È orgoglio, è disprezzo della debolezza, è una forma quasi pagana di virilità che coinvolge non soltanto la persona, ma tutte le sue proprietà, e la sorte che gli sta sopra. È una sfida alle costellazioni che sono invisibili e invincibili ma che bisogna pur sempre strattonare, a costo di rompersi i polsi.

Tutti i famosi e cautelosi «adagi» del buonsenso piemontese hanno, nella Langa, un risvolto più drammatico e crudo: pignoleria e pazienza si fanno doti armate, compensate, sull'altro verso, da ardimenti fantastici, da ironie e bizzarrie impensabili. «Le leggi di Torino valgono dalla sera al mattino», si dice da sempre, a controprova che uno deve badare a se stesso, sia nel piantar viti sia nel ribellarsi ai tedeschi e costituir subito la sua libera repubblica.

Battezzato con la grandine, e non «con l'acqua dei maccheroni», l'uomo della Langa stima il fatto, l'atto. Il gesto, la prova.

Le parole né gli bastano né le consuma troppo. Non solo perché «chi molto abbaia si riempie d'aria», ma perché non è chiacchierando che l'uomo si fa, e non è cantando che la carrozza arriva in Paradiso.

«Qui Touring», gennaio 1971

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