Saltano le sedie, l’Italia è più libera

Economia, media e politica non sono più ingessati dai veti incrociati. I casi Salza e busi

Che cosa lega i casi di Enrico Salza (il cui ruolo di presidente del consiglio di gestione di Intesa San Paolo - anche se non appare probabile - potrebbe essere all’ultimo momento riconfermato, ma è stato comunque sfidato frontalmente) a quelli di Maria Luisa Busi e, paradossalmente, a quelli di Gianfranco Fini? Succede che, nonostante tutte le sue magagne, limiti, contraddizioni la società italiana sta diventando man mano più libera e aperta.
Lasciamo perdere epoche precedenti, riflettiamo sull’Italia dopo il secondo dopoguerra, che ha vissuto in situazione di particolare fragilità: per il ruolo di frontiera nella Guerra fredda, per il peso del Partito comunista più forte di Occidente, per i problemi di una borghesia compromessa in parte con il fascismo e a cui servivano comunque alcune condizioni di protezione per industrializzare un Paese ancora a prevalenza agricola. È in questo contesto che si è costruito un sistema di poteri bloccati in politica, in economia (specie nella finanza) e in campo culturale-mediatico dove è stata particolarmente consistente l’egemonia della sinistra.
Non siamo certo, ancora, in una situazione «rose e fiori», ma il consolidarsi del sistema maggioritario (che ha retto anche nelle ultime regionali, come si può verificare dal ruolo marginale dell’Udc, e che consente di “cambiare” anche in città “rosse” come Mantova, ma fa “pagare” il centrodestra a Lecco quando governa male), la personale resistenza di Silvio Berlusconi nel non piegarsi ai vari poteri impropri sia in toga sia nella stampa, il crescere di una dialettica anche nella finanza non più ingessata dalle inevitabili centralità di Enrico Cuccia e dei banchieri democristiani (o successivamente dai ruoli anomali assunti da Antonio Fazio), stanno determinando una realtà in cui i diritti di veto così caratteristici della Prima Repubblica stanno saltando.
E così una personalità di indubbio carattere come Salza, punto di riferimento di un certo mondo non Fiat di Torino e abile organizzatore di influenze parallele, viene messo in discussione dalle forze della città che vogliono che contino più gli interessi espliciti che i poteri incontendibili. Così l’eroina del sindacalismo Rai che considera sua proprietà l’informazione pubblica, viene sottoposta a verifiche professionali e di ragionevole ricambio da un direttore come Augusto Minzolini, che resiste al regime del sindacalismo di regime. E in parte ciò avviene anche in politica dove un Fini che vorrebbe riprendere la tradizione dei continui condizionamenti indiretti (non legati ai voti ma alle posizioni di rendita) viene sfidato non solo sul terreno dei contenuti ma anche dei “numeri”, grazie a un’idea della politica non più oligarchica, dove non contano solo le vecchie nomenklature, quelle a cui si appella Massimo D’Alema per perpetuare un potere ormai nudo, contendibile persino da un Nichi Vendola qualsiasi.
Insomma, procede una società in cui contano il mercato, la proprietà, il peso del voto dei cittadini, la responsabilità di chi ha un incarico legittimo (per esempio di direttore del Tg1). È decisiva la richiesta che in una liberaldemocrazia ogni potere sia bilanciato da garanzie e diritti. Ma per fare un passo in avanti verso una società libera, aperta e compiutamente democratica, bisogna impedire che la richiesta dei bilanciamenti sia la via per impedire l’affermarsi di poteri effettivi garantiti dal diritto e dalla sovranità popolare. Nel Paese degli Azzeccagarbugli la manipolazione dei diritti (si veda solo l’azione di certi pm) è pericolosa quanto la compressione (pure da contrastare a fondo) di diritti sociali e liberali. Non sarà una via in discesa. Servono regole e riforme, ma la prospettiva di una società realmente aperta e dunque contendibile è oggi alla nostra portata.

Chi si chiede come mai Berlusconi riesca a vincere anche in situazioni come il Lazio, invece che guardare al controllo delle televisioni, dovrebbe ragionare - se non fa parte di uno dei numerosi ambienti chiusi tesi solo al loro autoperpetuarsi - proprio sul fattore “apertura” della società.

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