Antibiotici al capolinea La rivolta dei super batteri

di Luigi Cucchi

Entro il 2050 gli antibiotici rischiano di diventare del tutto inutili per combattere le infezioni. E i superbatteri, sempre più resistenti, potrebbero creare effetti devastanti, causando più morti del terrorismo, fino a 10 milioni all'anno. Uno scenario apocalittico quello tratteggiato da uno studio britannico. Ma realistico. Se continuiamo di questo passo, gli antibiotici di oggi, abusati e utilizzati anche quando non servono (cioè contro le infezioni virali e non solo contro quelle batteriche), continuano a perdere il potere curativo e stanno «allenando» i batteri a diventare sempre più potenti. Secondo l'Organizzazione Mondiale della sanità, la resistenza microbica potrebbe portare ad un'era pre antibiotica.

Il mondo vacilla sul baratro sanitario. Il costo finanziario di questa lotta sarà altissimo: circa 100mila miliardi di dollari. Per contrastare i superbatteri è stato calcolato che servirebbe un fondo da due miliardi di dollari, un global innovation fund, per avviare la ricerca su nuovi metodi di contrasto, migliorare le condizioni igienico-sanitarie e la pulizia negli ospedali per prevenire la diffusione delle infezioni.

Altrimenti potrebbe avvicinarsi alla fine la gloriosa storia degli antibiotici. Da oltre un secolo hanno rappresentato la principale arma per debellare le infezioni che per secoli hanno mietuto milioni di vittime. Oggi la mortalità infantile è di poco superiore all'1 per mille nel primo anno di vita, era di cento bambini ogni mille nel 1935 e di 168 nel 1901. Il morbillo era una malattia grave con possibile esito mortale, la scarlattina richiedeva un isolamento totale di almeno 40 giorni e le uniche cure erano solo il riposo e l'alimentazione controllata. A Vienna nel 1852 ben 13 madri su cento morivano per infezioni subito dopo il parto. La polmonite e la tubercolosi riducevano la popolazione di intere città, messe letteralmente in ginocchio. Per contrastarle si costruivano grandi ospedali, come il Sacco di Milano nato negli anni Trenta proprio per cercare di curare i pazienti di Tbc ospitandoli su grandi terrazze al sole. In Valtellina, a Sondalo si costruivano decine di ospedali per aiutare i pazienti colpiti dal mal sottile a respirare l'aria buona delle Alpi. Insomma, gli antibiotici hanno cambiato la nostra storia sanitaria e sono stati un salva-vita fondamentale. Ora però stanno perdendo di efficacia. Li abbiamo presi anche solo per un raffreddore, senza criterio. Ed ora dobbiamo registrare ogni anno oltre 7mila decessi per infezioni acquisite negli ospedali e che i medici non riescono a debellare.

«In Europa ha ricordato Gian Maria Rossellini, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell'ospedale Careggi di Firenze - la prevalenza di queste infezioni si aggira attorno al 6% fra i pazienti ricoverati, con circa 3,2 milioni di casi all'anno e un costo stimato di circa 6 miliardi di euro all'anno. In Italia, la prevalenza di queste infezioni è leggermente superiore alla media europea, con un numero stimato di circa 300mila casi all'anno». Secondo gli infettivologi ed i microbiologi della società italiana di Terapia infettiva (Sita), per contenere l'antibioticoresistenza e contrastarla si deve ricorrere ad alcune azioni mirate, semplici ma determinanti: educare al lavaggio delle mani e all'utilizzo dei guanti; aumentare il numero delle stanze a letto singolo nei reparti di Infettivologia; utilizzare in modo appropriato gli antibiotici esistenti e, in attesa di quelli nuovi, utilizzare alcuni vecchi antibiotici poco utilizzati fino ad oggi, ma dotati di una notevole attività microbiologica.

Il consumo di antibiotici è salito del 18% nello scorso decennio e continua a crescere. Ogni giorno in Italia un milione e mezzo di persone assume un antibiotico, ma circa la metà della popolazione lo fa in modo scorretto. Gli antibiotici sono al terzo posto nella classifica della spesa per farmaci a carico del Servizio sanitario ed al quinto se si considerano gli acquisti fatti direttamente in farmacia.

L'Italia è tra i Paesi europei con il più alto tasso di antibiotico resistenza e, rispetto agli altri Stati membri, si distingue per un uso più elevato di cefalosporine. In base ai dati raccolti dal dipartimento malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità sui comportamenti e il grado di consapevolezza degli italiani rispetto all'utilizzo dei farmaci antibiotici, emerge che gli antibiotici si prescrivono per infezioni delle vie respiratorie (60%), del sistema urinario (9%), dell'orecchio (6%), del cavo orale (6%). Il consumo di alcune molecole è aumentato del 400% e la prescrizione di un certo numero di antibiotici ha subito un incremento esponenziale. Tra questi, la prescrizione di moxifloxacina (+398%), amoxicillina e acido clavulanico (+100%) e, azitromicina e claritromicina (macrolidi) sono cresciuti rispettivamente, del 23,9% e del 25,6%.Il 57% degli italiani ha assunto antibiotici, ma per ben il 44% dei casi il farmaco non è stato prescritto dal medico. Infine, secondo il sondaggio, solo tre medici su quattro informano il paziente sui motivi della prescrizione e sulla corretta gestione del farmaco.

E pensare che la perdita di efficacia degli antibiotici era stata prevista in tempi non sospetti da Alexander Fleming sin dal 1945, come ricorda Claudio Viscoli, presidente della Sita e direttore della clinica malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova.

Fleming scrisse che la penicillina poteva perdere di efficacia perché, se male usata e sotto-dosata, poteva non uccidere i batteri, ma indurre lo sviluppo di meccanismi di resistenza. Preconizzò addirittura che un microrganismo così modificato avrebbe potuto diventare un temibile killer. E la sua profezia rischia di tradursi in un rischio reale, se non si cambia rotta e se non si evitano abusi.

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