Riccardo Cervelli
Epilettico. Quante volte si sente questo termine per indicare erroneamente una persona da cui ci si possono aspettare scatti di violenza o comportamenti irrazionali, anche se non si tratta di un individuo con epilessia? E quante altre, invece, quando si parla di qualcuno con questa patologia, lo si compiange come «vittima» di una malattia rara, incurabile, o perfino mentale?
Di questo ed altri aspetti si è discusso recentemente in occasione dell'incontro «L'Epilessia nel Terzo millennio. Aspetti socio-culturali e clinici», organizzato da Sandoz e dalla Federazione italiana epilessie (Fie) con l'obiettivo di fornire importanti spunti volti a combattere lo stigma dell'epilessia a partire dal linguaggio.
«Da sempre - dichiara Rosa Cervellione, presidente di Fie - il vissuto dell'epilessia è raccontato con parole cupe, che provocano reazioni altrettanto cupe e impediscono a un'intera comunità di potersi raccontare. Fie rivolge il suo appello ai media e alle istituzioni affinché utilizzino un linguaggio nuovo. Un linguaggio che permetta alle persone con epilessia di raccontare la realtà nella quale vivono che, come accade per tutte le malattie, è fatta di sofferenza, ma anche di energie positive, di impegno, di ottimismo e di molto altro ancora».
Può essere utile iniziare, quindi, dalla conoscenza del significato di epilessia e della sua diffusione. Innanzitutto va precisato che l'epilessia riunisce un ampio spettro di quadri clinici di interesse neurologico, con il comune denominatore della possibilità del verificarsi e ripetersi di manifestazioni cliniche improvvise (le crisi epilettiche). Questo sono riconducibili a una modificazione transitoria, di durata compresa tra pochi secondi e qualche minuto, dell'attività bioelettrica che altera il normale funzionamento del cervello.
«Si stima che nei Paesi industrializzati fino a 1 soggetto su 100 abbia una diagnosi di epilessia», evidenzia Carlo Andrea Galimberti, del Centro per la Diagnosi e la Cura dell'Epilessia presso l'Irccs Istituto Neurologico Nazionale Mondino di Pavia. «Le fasce d'età con maggiore incidenza di nuove diagnosi sono l'infanzia-adolescenza e, all'estremo opposto, l'età senile. Nel caso dei bambini e dei ragazzi, gli atteggiamenti spesso iperprotettivi dei genitori, una conoscenza in generale limitata dell'epilessia da parte degli insegnanti, una non corretta informazione tra i coetanei, possono ostacolare un adeguato inserimento scolastico con conseguenti problemi per l'identità sociale del bambino». E per quanto riguarda gli sport? «Hanno effetti positivi sulla salute, sull'autostima e sulla socializzazione», spiega il medico. «Naturalmente l'idoneità alla pratica di talune attività deve essere oggetto di valutazione medica».
Epilessia, quindi, come una condizione non pregiudizievole di una soddisfacente vita scolastica, sociale, e lavorativa. Tra i soggetti impegnati sia sul fronte del sostegno di iniziative concentrate sulla modifica degli approcci socio-culturali sia su quello della ricerca scientifica, oggi c'è anche Sandoz.
«Recentemente - segnala Paolo Cervellati, Medical Affairs manager Sandoz Italia - abbiamo annunciato il nostro ingresso nel campo dell'epilessia, a seguito dell'acquisizione di molecole innovative. Siamo orgogliosi di poter offrire il nostro sostegno alle persone che convivono con questa sindrome neurologica, garantendo loro una migliore qualità di vita.
Ma l'impegno di Sandoz va oltre la ricerca scientifica: supportiamo costantemente le associazioni di pazienti, unici portatori dei bisogni e delle attese dei malati, promuovendo iniziative di sensibilizzazione sull'intero territorio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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