MA SALVIAMO LA CRONACA

Ai giornalisti viene mossa spesso e volentieri l’accusa d’essere corporativi, suscettibili, risoluti nel difendere il loro orticello elitario e sordi invece alle grandi istanze del Paese. Prevedo che la polemica ridivamperà adesso - anzi già infuria - per le critiche che una parte della stampa ha mosso al disegno di legge governativo sulle intercettazioni, e in particolare agli articoli che vietano di pubblicare atti giudiziari: articoli dai quali sono previste pene severe per i trasgressori.
Poiché mi associo a chi ritiene che il disegno di legge sia in alcune sue parti errato ed eccessivo, e che l’esercizio stesso del giornalismo ne sia minacciato, voglio mettere in chiaro alcuni punti fermi. L’abuso delle intercettazioni richiedeva senza dubbio una nuova regolamentazione: a patto che non fosse castrazione delle notizie. Gli addetti agli uffici giudiziari che si rendono promotori o complici delle frequentissime fughe di indiscrezioni - mai puniti - debbono invece essere perseguiti, e duramente condannati. La privacy del comune cittadino merita la massima possibile protezione, anche se purtroppo l’annuncio d’una incriminazione, cui potrà seguire un’assoluzione, causa di per sé sola grande sofferenza.
Tutto vero, e dunque ben venga una legge che intende porre riparo alle curiosità malsane d’un «grande fratello». Ma la linea divisoria tra l’atto di giustizia indispensabile e il pettegolezzo gratuito è spesso poco evidente. Il pericolo è che i marpioni del malaffare riescano a occultare sotto il nobile mantello dei principi la loro voglia d’impunità. La disposizione secondo cui è vietato pubblicare anche per riassunto o nei contenuti atti di indagine preliminare ha tutta l’aria d’un altolà alla diffusione delle informazioni anche quando la notorietà del personaggio coinvolto renda le informazioni stesse politicamente o moralmente utili (ho avuto e continuo ad avere la convinzione che il diritto alla riservatezza tanto più si attenui quanto maggiore sia il ruolo pubblico di chi alla riservatezza si appella).
Su Italia Oggi - non su Liberazione - Franco Bechis ha osservato che sarebbe stato impossibile - in base al progetto Alfano - far sapere agli italiani cosa accadeva nella clinica Santa Rita. E poi: «Stefano Ricucci oggi sarebbe lo stimatissimo editore del Corriere della Sera. Luciano Moggi avrebbe fatto vincere alla Juve gli ultimi due scudetti». Per amor di paradosso forse Bechis esagera: ma nemmeno poi tanto.

Sarò anche troppo pensoso della bottega giornalistica, ma posso suggerire al governo un ripensamento, visto che la legge ha appena iniziato il suo percorso parlamentare? Si intercetti un po’ meno, d’accordo. Ma soprattutto non si intercetti la libertà di stampa.

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