Sangue, diamanti e colpi di Stato A processo l’ultimo dei mercenari

Accusato di tentato golpe in Guinea equatoriale, Simon Mann rischia il patibolo. Per colpa del figlio della Thatcher

Una gioventù dorata spesa tra i prestigiosi banchi di Eton. Una vita in armi tra guerre, diamanti e colpi di Stato. Una vecchiaia che se sfuggirà al patibolo rischia di consumarsi nelle sordide celle di Black Beach, la più spaventosa galera d’Africa. Da ieri Simon Mann, l’ultimo mercenario del Continente Nero, affronta il suo destino. È in catene e non ha né armi, né proiettili. Le sue ultime risorse, a 55 anni suonati, sono le sue verità nascoste e le sue relazioni pericolose. Quelle con un il miliardario libanese Ely Calil, probabile finanziatore da Londra di un colpo di Stato per far fuori il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. Quelle con Mark Thatcher, il figlio «sempre nei guai» della Lady di Ferro. Quei due nomi li ha già fatti in due interviste. Ora deve solo ripeterli davanti ai giudici e sperare di appagare Teodor Obiang, il tiranno che dal 1979 regna sul Paese considerato il terzo produttore di petrolio d’Africa. Da un despota accusato di cannibalismo e abituato a farsi rieleggere con il 99 per cento dei voti non può aspettarsi clemenza. Può però compiacere la sua voglia di celebrità trasformandolo, con una studiata confessione, nella vittima di una trama che sembra firmata da Frederick Forsyth o Graham Greene.
Tutto inizia nel marzo 2004 quando Simon Mann noleggia un Boeing 727 e atterra in Zimbabwe con 69 mercenari e una valigia di dollari. Sulla pista l’attende un carico d’armi, ma qualche ingranaggio del meccanismo non è stato oliato a dovere. I servizi segreti di Mugabe arrestano Mann e i suoi, una pattuglia di altri 14 soldati di ventura viene bloccata in Guinea Equatoriale. Poco dopo i servizi segreti di Pretoria ammanettano Mark Thatcher e lo accusano di aver noleggiato un elicottero per conto di Mann. Le uniche vittime designate a quel punto sembrano i quattordici sfortunati avanguardisti. Uno di loro, il tedesco Gerhard Merz muore tra stenti e torture nelle segrete di Black Beach. I sopravvissuti con in testa il sudafricano Nick du Toit vengono condannati a 34 anni di galera. Mark Thatcher, intanto, si scrolla di dosso ogni accusa pagando 300mila euro di multa al governo sudafricano e rifugiandosi nella sua villa spagnola. Il libanese Calil se ne resta indisturbato a Londra. Simon Mann nega tutto, accetta la condanna a sette anni inflittagli dai giudici di Harare e attende che lo tirino fuori dai guai. Se noblesse oblige lui ha ottimi titoli da spendere.
Rampollo di una delle più ricche famiglie di distillatori del Regno Unito il giovane Mann passa dai banchi di Eton ai campi d’addestramento delle Sas guadagnandosi i gradi di ufficiale del corpo d’élite. Per sua maestà guida delicate operazioni dalla guerra dell’Ulster fino al primo conflitto iracheno. Poi incontra il miliardario Tony Buckingham suo vecchio compagno di college si congeda dall’esercito e fonda Executive Outcome, la compagnia di sicurezza pagata a peso d’oro per difendere i pozzi petroliferi angolani e combattere la guerra dei diamanti in Sierra Leone. Da lì a fondare la Sandline e rincorrere più vaste fortune il passo è breve. Ma lo Zimbabwe è la tomba di tutte le avventure. Destinato a venir scarcerato per buona condotta nel febbraio di quest’anno Mann si ritrova, nonostante i potenti amici e il patto del silenzio, estradato in Guinea Equatoriale.

Per farselo consegnare il tiranno Teodoro Obiang ha dovuto solo promettere allo squattrinato Robert Mugabe qualche fornitura del suo prezioso petrolio. Lo stesso petrolio che Simon Mann doveva mettere a disposizione dei suoi potenti e ricchi clienti.

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