Schiaffo agli schiavisti Arrestati i caporali degli africani di Rosarno

Rosarno (Reggio Calabria)A sfruttarli erano africani come loro, probabilmente arrivati in Italia nelle stesse misere condizioni. Ma mentre gli stagionali di Rosarno faticavano come bestie tra gli alberi d’arancio e mandarino, i caporali loro connazionali s’ingegnavano per far arrivare altra manodopera nella Piana di Gioia Tauro e lucrare sul disperato bisogno di lavoro di quella gente. Sono tunisini, marocchini, algerini e una donna bulgara che si spostavano tra Villa Literno, nel Casertano, Cassibile e Palagonia, in Sicilia, alla continua caccia di braccianti. Li muovevano come pedine, in base alla stagione e al tipo di raccolta. A fare luce sul mercato di uomini nelle campagne di Rosarno è ora l’indagine della Procura di Palmi, scattata all’indomani della rivolta dello scorso gennaio che ha messo a ferro e fuoco il paese.
In tre mesi di lavoro, un’apposita task force composta dagli uomini di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza ha accertato le durissime condizioni di lavoro e le violenze riservate alle migliaia di extracomunitari che, ogni anno, nella stagione degli agrumi, si riversano nella Piana per offrire le loro braccia. Ieri, nove caporali sono stati così arrestati, mentre per ventidue imprenditori agricoli e proprietari terrieri che impiegavano gli africani sono stati disposti gli arresti domiciliari ed il sequestro dei loro beni. Una ventina di aziende, tra cui 5 cooperative agricole, e 200 terreni per un valore complessivo di 10 milioni di euro. A tutti viene contestato il reato d’associazione a delinquere per sfruttare l’immigrazione, la violazione delle leggi sul lavoro e la truffa aggravata ai danni dello Stato per i contributi agricoli percepiti illecitamente. A dare il via all’«Operazione Migrantes» sono stati ancora una volta gli immigrati, con le loro coraggiose testimonianze.
Gli extracomunitari, dopo l’insurrezione che ha devastato mezza città e fatto 53 feriti, erano stati allontanati da Rosarno per evitare le ritorsioni di gruppi di rosarnesi intenzionati a farsi giustizia da sé. Trasferiti nei centri d’identificazione di Bari e Crotone, i clandestini hanno cominciato a raccontare cosa dovevano subire per lavorare nei campi. In quindici hanno rilasciato precise denunce, che hanno riempito pagine e pagine di verbali. Per la collaborazione resa hanno ricevuto un permesso di soggiorno speciale, che consentirà loro di rimanere in Italia. Poi le forze dell’ordine hanno cominciato a cercare i riscontri. I caporali sono stati seguiti per mesi, intercettati e fotografati sui furgoni che, ogni mattina, all’alba, si fermavano ai crocevia di Rosarno per raccogliere l’esercito di disperati e portarlo negli agrumeti. «Lavoravamo dall’alba fino a che non si vedeva più», hanno raccontato i giovani africani. Dodici, quattordici ore al giorno per 22 euro di paga. Tre euro li trattenevano i caporali come spese per il trasporto e altri dieci a lavoratore li incassavano dagli imprenditori agricoli, che pagavano 1 euro a cassetta per la raccolta dei mandarini e 50 centesimi per le arance. È stato così per anni, da novembre a marzo quando gli stagionali invadono Rosarno: paghe da fame e botte e minacce per chi osava ribellarsi. Dopo i turni massacranti nei campi, gli africani tornavano al gelo, nei loro tuguri sparsi per le campagne di Rosarno e Rizziconi o nelle fabbriche abbandonate della Rognetta e dell’ex Opera Sila.
È questo il contesto in cui è covata la rivolta del 7 gennaio scorso, scoppiata per le pistolettate ad aria compressa esplose da ignoti contro alcuni immigrati. Quasi quattro mesi dopo, finita la raccolta degli agrumi, a Rosarno gli africani sono rimasti in poche centinaia.

Vivono tranquillamente, ma inquieta l’episodio avvenuto domenica scorsa quando un gruppo di stranieri, stavolta bulgari, si è scontrato con ragazzi di Rosarno e un carabiniere è rimasto ferito ad una mano dal piombino esploso, ancora una volta, da una pistola ad aria compressa.

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