Paul Ronald è stato tra i maggiori fotografi di scena del cinema italiano. È stato più volte sul set con registi del calibro di Luchino Visconti ed Ettore Scola. Con Pier Paolo Pasolini lavorò soltanto a La ricotta, del 1963, uno dei quattro episodi del film Ro.Go.Pa.G. di cui gli altri tre episodi sono a firma di Rossellini, Godard e Gregoretti.
Ronald, borghese tutto d'un pezzo, dirà di non essersi trovato a suo agio nel contesto. Niente contro Pasolini: anzi, Ronald aggiungerà che proprio lo scrittore-regista si era rivelato sempre gentile e attento. Era l'opera in sé a turbare Ronald. La ricotta in effetti scatenò una forte reazione della censura che prima operò qualche taglio e poi fece ritirare il film dalle sale. Pasolini fu condannato a quattro mesi di reclusione per vilipendio della religione cattolica. Col senno di poi, la cosa rasenta l'incredibile. Il marxista (eretico) Pasolini nella pellicola mostra quanto la sua cultura, formazione, visione del mondo discendessero in linea diretta dal cristianesimo (eretico). Non c'è blasfemia nella storia della miserabile comparsa Stracci che muore realmente in croce dopo un'abbuffata insperata di ricotta sul set dove si sta girando una pellicola sulla Passione di Cristo. Nella sua versione più completa, il film si apre con una doppia citazione evangelica, seguita da un cartello sul quale si legge: «A scanso di equivoci di ogni genere, voglio qui dichiarare che la storia della Passione è la più grande che io conosca, e i Testi che la raccontano, i più sublimi che siano mai stati scritti».
Al Centro Studi Pasolini, nella casa Museo Colussi di Casarsa, sarà aperta al pubblico da sabato 15 aprile fino al 2 luglio la mostra «La ricotta di Pier Paolo Pasolini nelle fotografie di Paul Ronald».
Spiega Antonio Maraldi, nel prezioso catalogo della mostra: «Nonostante il disagio, Ronald (1924-2015) ha comunque documentato egregiamente quella lavorazione, seguita per intero, sia in esterno, nella periferia romana, che in studio per la ricostruzione dei dipinti di Pontormo e Rosso Fiorentino. Come testimoniano le foto della mostra e quelle più numerose presenti in catalogo. Foto che Paul aveva curiosamente trattenuto per sé - abitualmente conservava molto poco del suo lavoro, a parte qualche eccezione - e che mi ha generosamente donato nel corso di uno dei nostri ultimi incontri, nella sua casa nei pressi di Wassy in Haute Marne, nel nord della Francia». Un lascito straordinario composto da 242 negativi 35 mm e da 13 di formato 6x6 cm. La mostra è composta per oltre i due terzi da foto mai stampate in precedenza e presentate per la prima volta. Una documentazione preziosa e significativa. Continua Maraldi: «Gran parte del lavoro (oltre un migliaio di negativi) Ronald lo aveva consegnato, come da contratto, alla produzione (da qui l'assenza di immagini più conosciute, utilizzate per la promozione, come quelle di Pasolini insieme a Orson Welles)».
Il lavoro di Ronald illustra bene alcune delle caratteristiche dei set pasoliniani. Partiamo da un dettaglio: l'immancabile e impeccabile giacca e cravatta di Pasolini stesso, molto sensibile a questo aspetto, certamente in funzione della presenza del fotografo (basti pensare al look studiatissimo sfoggiato sul set, molti anni dopo, di Salò). Un altro dettaglio: l'abbondanza di amici, coinvolti a vario titolo. In mostra vediamo Bernardo Bertolucci ed Elsa Morante. Ma la presenza-assenza più importante fu quella di Giorgio Bassani, che diede la propria voce a Orson Welles.
Dal colore, passiamo ai colori, quelli della grande pittura. Ronald testimonia la nascita dei grandiosi tableau vivant che riproducono le opere del Pontormo e di Rosso Fiorentino.
E qui entriamo nel cuore del cinema di Pasolini, fortemente debitore, dal punto di vista visivo (ma anche strutturale, vedi il montaggio), delle lezioni illuminanti del critico d'arte Roberto Longhi, indimenticabile maestro degli anni all'università di Bologna.
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