Sono seduta alla mia scrivania. Alzando lo sguardo dal computer vedo davanti a me la grande estensione di un bosco, querce e castagni sono ancora completamente spogli, stanno dritti le une accanto agli altri, immersi in un apparente sonno. In realtà, al loro interno, già da tempo gli umori della linfa sono in movimento e corrono eccitati da una parte all’altra, come un esercito che si prepara a compiere una grande battaglia. Alla fine di questo mese i rami si copriranno di foglie, foglie tenere, di un verde chiarissimo, quasi trasparenti che nel giro di qualche settimana diventeranno adulte, scure, robuste. In giugno, poi, sui castagni compariranno le lunghe e profumate infiorescenze e, in quel profumo, ci sarà già nascosta una promessa d’autunno. In men che non si dica arriveranno le castagne e così, ancora una volta, il bosco avrà compiuto il suo ciclo di morte e di resurrezione.
Guardando oggi il bosco non posso non provare anche una grande inquietudine. Sebbene sia aprile, infatti, e la grande stagione dei corteggiamenti degli uccelli sia già cominciata, il silenzio è pressoché assordante. Sento, nella grande voliera appena fuori dal mio studio, il mio pappagallo Luisito che mi chiama a gran voce, sento il cinguettio di qualche cincia, il gracchiare delle - purtroppo sempre più presenti - cornacchie grigie. Dove sono però i cuculi? Dove sono le upupe? Dove sono i merli e tutti i piccoli insettivori dal canto straordinariamente melodioso? Dove sono le rondini che, con il loro garrire, riempiono di gioia le prime ore del mattino e i dolci crepuscoli di maggio? La risposta purtroppo è drammaticamente semplice. Non ci sono.
Da vent’anni vivo in campagna e da vent’anni, da appassionata naturalista quale sono, tengo un diario di tutto ciò che succede. Le upupe e i cuculi sono regolarmene arrivati tra il dodici e il diciotto marzo. Le rondini, di solito, arrivavano proprio intorno all’equinozio di primavera, tra il diciannove e il ventun marzo. Fino all’inizio degli anni Novanta avevo una quarantina di nidi di rondine nella stalla, ora ho solo una coppia nidificante che non sempre riesce a portare a termine la cova perché scarseggiano gli insetti e abbondano i nemici. Anche tra le rondini l’unione fa la forza: una coppia, da sola, ha un bassissimo livello di protezione.
Perché scrivo queste cose? Perché ho sotto gli occhi l’emendamento alla Legge Comunitaria sulla caccia approvato vergognosamente alla chetichella nei giorni scorsi al Senato. In breve questo emendamento, in barba alle direttive europee, permetterà di cacciare durante l’estate, oltre che in febbraio e probabilmente anche in marzo, quando gli animali raccolgono le energie per la riproduzione. Un altro disegno di legge, inoltre, vorrebbe permettere di cacciare quando è buio, di usare gli zimbelli, di sparare agli uccelli sulle rotte di migrazione, concedendo di imbracciare il fucile anche ai ragazzi di sedici anni. La patente e il voto no, ma il fucile sì!
Vengo da una famiglia di cacciatori, persino mia madre andava a caccia e mio fratello maggiore, pur essendo bambino, accompagnava spesso le loro battute. Io stavo a casa ad aspettare. Ricordo l’arrivo del carniere e tutti quegli uccellini in fila sul tavolo con la testa ciondolante. Ricordo quelle palpebre tenacemente chiuse e il mio, altrettanto tenace, tentativo di riaprirle. Quei corpicini freddi e inermi, che lasciavano macchie di sangue sul ripiano di formica, sono stati il mio primo metafisico incontro con la dolorosa follia della morte.
Sono una persona estremamente pragmatica e l’idealizzazione sentimentale della natura non fa parte della mia visione del mondo. Ho diversi amici cacciatori e quando mi portano un pezzo di cinghiale sono ben felice di fare le pappardelle al sugo. Ritengo che la caccia faccia parte della cultura delle nostre campagne. Nata come necessità per procurarsi delle preziose proteine, è rimasta ormai, ora che le proteine si comprano al supermercato, come una tradizione. Una tradizione peraltro in calo, come dimostrano le cifre degli ultimi vent’anni. Calo dovuto non alla severità delle leggi, ma semplicemente al fatto che la nostra società si sta muovendo in tutt’altra direzione, e forse grazie anche al fatto che da cacciare - a parte i fagiani, le lepri, i cinghiali - non c’è quasi più nulla.
È a questo fatto che vuole porre rimedio questo emendamento? Certo, sparando in tutte le stagioni a più o meno tutto ciò che si muove, qualcosa nel carniere finirà, si venderà forse anche qualche centinaia di fucili in più per fornire i ragazzi delle loro armi. Ma è una visione lungimirante questa, o è piuttosto un infilarsi, anche per i cacciatori, in un vicolo che presto si dimostrerà cieco?
Tutti i tipi di uccelli, con la sola eccezione delle cornacchie, sono in drastico calo, persino gli invincibili e onnipresenti passeri hanno dimezzato le loro presenze, grazie alle modifiche dell’ambiente e del clima. Che senso ha rendere ancora più devastante questa situazione? E perché una piccola parte di persone può permettersi di distruggere, confortata dalle leggi, quello che in realtà è un bene di tutti? La natura, dalla sensibilità contemporanea non è più vissuta come luogo di predazione ma come luogo di ricreazione e di contemplazione. I bambini e i ragazzi sono particolarmente sensibili a questo tipo di rapporto.
Non capisco a chi giova davvero questa legge, ma so benissimo a chi non giova. Oltre a tutti noi, nel futuro, ai nostri figli, ai nostri nipoti - a cui consegneremo una landa desolata popolata principalmente da ratti delle discariche, da cornacchie del malaugurio e da onnipresenti gabbiani - non giova, nel presente, alle persone, tra le quali mi annovero, che gestiscono un’attività turistica in campagna. Siccome sono convinta che i soldi non servano per imbottire i pouf ma per creare nuove occasioni di sviluppo, dieci anni fa ho preso un vecchio casolare e, lentamente, l’ho rimesso a posto per farne un agriturismo. Non l’ho fatto certo per arricchirmi, anzi, è stato piuttosto il contrario. Ma lì dove c’era un rudere invaso dalle ortiche e dalle vipere, ora c’è una struttura che, almeno nella buona stagione, comincia a funzionare e dunque a creare lavoro. La zona è di alta collina, ci sono molti boschi intorno e paesaggi incantevoli, è il paradiso per chi ama camminare, andare in bicicletta e a cavallo. Gli ospiti vengono in gran parte dal nord Europa, dove la sensibilità ecologista è molto sviluppata. Saranno contenti questi ospiti di fare le passeggiate con i loro bambini sotto il tiro incrociato dei fucili o di rilassarsi sul bordo della piscina, con i sibili degli spari a pochi metri dalle sdraio? Saranno soddisfatti, la notte di San Lorenzo, di confondere una stella cadente con il raggio infrarosso del cacciatore notturno o di trovare dei boschi vuoti, silenziosi, pieni solo di batterie di auto scariche e sanitari dismessi? Torneranno in vacanza da noi, in un Paese che, invece di aderire al comune sentire europeo, preferisce spingersi verso le usanze del Nord Africa?
E siamo contenti noi, piccoli imprenditori che abbiamo cercato di dare nuova vita alle campagne per lo più agonizzanti, di questo nuovo straordinario ostacolo che ci viene imposto da chi, invece, dovrebbe aiutarci? Non è forse - o non dovrebbe essere - il turismo la grande risorsa del nostro Paese? Dov’è l’inesistente ministero del Turismo? Spariamo pure per mettere in fuga gli ultimi tenaci innamorati del nostro Paese, facciamoci del male, continuiamo ad arraffare, a distruggere, tanto del doman non v’è certezza, dopo di me il diluvio!
Questo vergognoso emendamento non è una diatriba tra ecologisti e cacciatori, ma qualcosa che riguarda tutti noi. Riguarda il mondo in cui viviamo e il modo con cui lo viviamo. Come riguarda tutte le persone che ritengono che la ricchezza della natura sia un patrimonio di tutti gli esseri umani e che, in quanto tale, vada difesa da tutte le forme perverse di impoverimento.
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