Se la censura colpisce i reality

Uno dei precetti della poetica di Eugenio Montale espressi nel suo linguaggio così denso e pregnante era: «fare cozzare l’aulico e il prosaico». Non vorrei essere partito troppo lontano per arrivare al programma televisivo di maggior successo in questi tempi La pupa e il secchione, da me frequentato con vario biasimo e imprevisto consenso. Ma il nome del primo poeta italiano, Dante, legittima la solenne premessa. Nel programma citato, insigni personaggi della letteratura, della filosofia e della scienza, da Dante appunto, a Napoleone a Marx, vengono sottoposti in effigie a giovani donne belle e spaesate che, nonostante gli anni dell’obbligo scolastico, stentano a riconoscerli.
Le ragioni del successo del programma vanno ricercate in diverse motivazioni: il compiacimento di conoscere quello che alle ignare è precluso, con qualche soddisfazione nel proprio intimo, di fronte a amici e parenti, e l’ineffabile divertimento di talune risposte, nel tentativo di individuare l’effigiato. Non si capisce se per ignoranza, per distrazione dalla cultura e dalla cronaca politica, o dalla troppa lontananza di alcuni personaggi «storici» dai giovani del nostro tempo Pertini diventa Onassis, Bertinotti Vittorio Emanuele di Savoia, la Levi Montalcini la madre di Berlusconi, Carlo Marx Garibaldi Galileo o Carlo Magno, in un crescendo irresistibile di equivoci e comicità. Non è escluso che i concorrenti lo facciano più che non lo siano e che la loro ignoranza o distrazione sia, in varia misura, forzata o ricercata per suggerimento degli autori. Se così fosse, la loro naturalezza, il loro spaesamento verrebbero guardati con ammirazione, riconoscendo una loro indubbia capacità di recitare.
Di fronte alle loro esitazioni e titubanze, io, che le guardo con attenzione, non saprei dire se fingano o siano realmente così lontane da una preparazione elementare di base da produrre effetti esilaranti e sorprendenti. Resterà tra le pagine indimenticabili di televisione dell’assurdo lo scambio di Dante con un capo indiano. Da quel momento, degno del miglior Alfred Jarry che immaginò la passione di Cristo come una corsa ciclistica in salita, io, che partecipo al programma come uno dei giudici che attribuiscono i voti alle coppie in gara composte da una pupa e un secchione, mi adopero per far vincere quella di cui fa parte Rosy, autrice della formidabile e illuminante agnizione. Nessuna fantasia poteva far coincidere il primo poeta dell’Occidente con il capo di una tribù di pellerossa. L’intendimento di Montale qui si perfeziona, ribaltando l’aulico, il paludato, il dotto nel nulla. Le avanguardie, il dadaismo, Ionesco, Achille Campanile sono la legittimazione di una dissacrazione così involontaria e spontanea.
I recenti episodi, che mi hanno visto protagonista di una ulteriore e imprevedibile performance all’interno di questo programma, che si configura, nella cronaca della vita delle coppie, come un reality, hanno certamente aumentato l’interesse per la trasmissione, pur evidenziando alcune contraddizioni. Quando le coppie si trovano in studio davanti ai membri della commissione che li giudica per esibire le loro performance, il programma è registrato. È dunque possibile tagliarlo e adattarlo. Ma nelle parti morte, non in quelle vive! Così quando, dopo ore di attesa, fermi come soprammobili e lungamente ignorati, i membri della giuria vengono interpellati, non appare strano che essi possano essere in disaccordo. È dunque sbagliato pensare che uno di loro debba parlare per tutti. Altrimenti perché sarebbero cinque! E che non sia consentita una discussione da cui esce un giudizio di promozione o di esclusione delle coppie a maggioranza.
Mi sembra evidente che la mia valutazione, ricca anche di riferimenti paradossali al mondo delle avanguardie, non possa misurarsi con i parametri di Alessandra Mussolini o di Maria Monsè e forse neppure di Gianluca Nicoletti e Platinette. Per questo è sorto un diverbio quando la Mussolini ha preteso, non di discutere, ma di farmi tacere tappandomi la bocca e facendomi cadere gli occhiali. Nulla di male nella sostanza, ma una mia insofferenza espressa in modo colorito anche per non continuare, compiacendomi soltanto del caché, a fare il soprammobile. Nelle lunghe ore di attesa, la produzione avrebbe anche la pretesa che io non usassi, esattamente come si usa un block-notes, il telefono portatile per prendere appunti ed eventualmente inviare messaggi, come se ciò comportasse una distrazione rispetto ai numeri proposti che io, in verità, seguo con attenzione e divertimento.
Con queste premesse, dovrebbe essere stato salutato con un entusiasmo uno «scazzo» che richiama attenzione e aggiunge alla impressione di realtà, dell’ignoranza e del candore, un’altra parte di realtà imprevista che, sotto aspetto di «fuori onda» ha fatto la fortuna di Blob e di Striscia la notizia, come tutte le testimonianze di Candid camera di cui i reality in questi anni sono la derivazione. E andrà anche aggiunto che, a partire dalle prime mie apparizioni da Costanzo, io sono uno dei padri costituenti del reality. Come pensare allora di censurare o tagliare, ripetendo con finta tranquillità il blocco incriminato, come ha inteso la produzione del programma, il mio scontro con Alessandra Mussolini? Comunque sia giudicato sul piano personale e della opportunità, esso va, nella logica del linguaggio televisivo e nell’estetica del reality, benedetto.
Perché dà realtà alla realtà e al gioco divertente delle coppie, anche attraverso una drammatizzazione imprevista e fragorosa. La tonalità delle mie urla e della mia reazione all’aggressione della Mussolini può essere irritante o sgradevole, ma è un elemento di vitalità e di sorpresa che non può essere cancellato come la sottolineatura di Striscia la notizia ha fatto intendere, imponendo la reintegrazione del blocco censurato. Era accaduto anche in un mio antico diverbio con Mike Bongiorno sull’eruzione dell’Etna che travolgeva case di speculazione edilizia. È il mio carattere, la mia natura. Anche con reazioni sproporzionate quando mi trovo di fronte a un’ingiustizia o a una prepotenza. Né mi pare che dire fascista alla Mussolini che cerca di impedirmi di parlare in modo manesco, sia un’offesa. In ogni caso, essendo nota a tutti la mia identità di dottor Jekyll e mister Hyde, una delle ragioni del mio successo televisivo, mi sembra singolare che quando appare Hyde si pensi di censurarlo. D’altra parte, il dottor Jekyll e il fine critico d’arte parlano latino, mister Hyde, quando esce fuori, parla volgare, strappa, non rispetta le regole, ma consacra l’unica divinità della televisione che è l’ascolto. Se poi questo avviene non perché è ricercato, ma perché accade, senza averlo previsto, questo è proprio l’estetica della televisione. Dante che scriveva in volgare e Montale che intercettava il prosaico l’avrebbero capito.

La morale, la buona educazione (che nessuno chiederebbe a Marinetti, o a Majakovskij), il perbenismo, sono un’altra cosa. E se uno ricercasse questi, o la televisione didascalica del «Nettuno», non produrrebbe La pupa e il secchione.

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