Se il centrosinistra imparasse dagli Usa

Gentile Direttore,
il primo duello televisivo tra i due candidati alla Presidenza degli Stati Uniti mi induce a tentare alcune considerazioni in generale sulla politica e in particolare sulla politica italiana.
Innanzitutto, la stima che Obama e McCain si dimostrano reciprocamente non sembra solo frutto di un'attenta strategia di marketing politico né forzata dai consigli di qualche king-maker, bensì stima sentita che si è sublimata, l'altra sera, in un abbraccio commosso e quasi commovente. I due candidati, pur diversi, rappresentano alla perfezione la politica americana nella quale tradizione e rinnovamento convivono stabilmente e l'avversario non è mai un nemico, semmai un competitor con idee diverse con il quale però si condividono i valori fondanti della Nazione e il medesimo sentimento d'amor patrio. Ha ragione Marcello Foa su il Giornale quando sostiene che «insieme formerebbero la coppia ideale: il politico con i capelli bianchi, saggio, esperto, affidabile; il giovane di colore che abbatte i muri razziali e dà voce all'elettorato giovane e cosmopolita. I due volti perbene di un Paese che ha voglia di ripartire».
Su questo punto, trovo invece deprimente la metamorfosi della sinistra italiana incapace di aprirsi realmente al dialogo: dopo l'iniziale buona disposizione di Walter Veltroni, sono riemersi vecchi schematismi, secondo i quali l'avversario è un nemico da demonizzare, abbattere e cacciare. Resto stupefatto che dopo l'apertura di Gianni Alemanno a Giuliano Amato, la sinistra deprechi il comportamento di Amato che ha deciso di aderire a una commissione bipartisan e autonoma per risolvere alcuni problemi di Roma e rilanciare la Capitale al di là delle giuste divisioni politiche che separano Centrodestra e Centrosinistra. Allo stesso modo trovo inquietante che sempre più spesso alcuni intellettuali di sinistra e di centro sinistra ricorrano al termine «fascismo» per denigrare un governo che ha nei valori del cattolicesimo, del liberalismo, e del riformismo il suo più alto patrimonio. C'è da essere preoccupati inoltre di alcune analisi di intellettuali che intendono spingere la sinistra non solo a odiare Berlusconi, ma ad odiare anche il popolo italiano, considerato alla stregua di un'opinione pubblica desertificata dal pensiero unico. Il disprezzo degli intellettuali di sinistra per il senso comune espresso dalla gente, la loro pretesa superiorità morale con la quale si ergono a maestri e censori, è oggi sintomo manifesto dell'incapacità della sinistra di guardare alla realtà, morte le ideologie che della realtà erano solo riflesso deformato. Un comportamento, quello degli opinion maker di sinistra, che secondo me genera difficoltà e disagio anche nella classe politica del Centrosinistra che non riesce a decidere se essere vera forza riformista, o vecchia forza antagonista.
C'è però un'altra considerazione che mi preme fare. Il primo duello televisivo tra Obama e McCain si è svolto in una chiesa della California alla presenza di un reverendo di spicco del mondo evangelico che ha torchiato i due candidati sui valori della fede, su questioni come il peccato, il male nel mondo, l'aborto. E questo non solo perché fanno gola i voti del popolo evangelico, decisivo in alcuni Stati. Questo dibattito dimostra quanto sia ancora fondamentale la religione in un Paese che ha sempre difeso la separazione tra Stato e Chiesa, ma non teme che le questioni morali, quelle più intime, quelle più rispondenti ai bisogni delle persone, entrino di prepotenza nel dibattito politico. E che mai sarebbe la politica se non si interessasse a questi temi? Resterebbe vuota tecnicalità, al massimo espressione di volontà di potere, o esercizio delle varie tecniche che al potere conducono.
In Italia, un dibattito del genere provocherebbe una sommossa, specialmente a sinistra, sembrerebbe un controsenso, un tentativo di prevaricazione, come quando la Chiesa in un libero dibattito pubblico mette sul tappeto una bimillenaria specializzazione nel campo e viene tacciata di ingerenza nelle cose politiche, come se la politica non fosse proprio difendere valori per il bene comune.

Ma questo avviene proprio perché sono i cosiddetti «laici» a non aver ancora metabolizzato quella divisione tra Stato e Chiesa che nessuno vuole mettere in dubbio, che esiste, e appunto perché solida conquista storica ci permetterebbe, come mi auguro, di riportare stabilmente sul tavolo della politica le questioni della religione.
Sandro Bondi
*Ministro per i Beni culturali

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