Se Cristo è più forte di ogni offesa

Sul concetto di volto resta in bilico tra irrisione gratuita e invocazione. Non è blasfemo, ma non graffia

Se Cristo è più forte di ogni offesa

Il prima e il dopo dello spettacolo Sul concetto di volto nel figlio di Dio andato in scena a Milano, Teatro Franco Parenti, martedì sera (sono previste repliche per tutta la settimana) hanno offerto momenti di vero teatro grottesco.
Prima: una messa riparatrice nel vicino piazzale Libia con quaranta aderenti ai gruppi tradizionalisti e cinquanta poliziotti schierati, mentre il resto della polizia milanese, o forse italiana, si trovava a presidiare la via Pierlombardo nel tratto dove ha sede il teatro diretto da André Ruth Shammah. Dopo: un dibattito in teatro con alcuni nomi del gotha culturale milanese: Vito Mancuso, Roberta De Monticelli, Giulio Giorello, Antonio Scurati, l’ass. Stefano Boeri. Mancavano solo le gemelle Kessler. Odio i cori, e qui di cori ce n'erano due: quello dei quattro gatti che per settimane hanno gridato al vilipendio e quello formato pressoché da tutti gli altri, intellettuali e polizia compresi.
Prima di parlare volevo vedere lo spettacolo per tre motivi: a) mi piace andare a teatro e non mi dispiace Romeo Castellucci; b) volevo vedere se il volto di Cristo, che campeggia sullo sfondo della scena, veniva effettivamente imbrattato di escrementi; c) se tutto questo risultava offensivo per la mia sensibilità di cattolico laico ma un po’ permaloso. Quanto al vilipendio, lo lascio volentieri ai preti e agli altri addetti ai lavori.
Lo spettacolo, della durata di nemmeno un’ora, si divide in due parti. Nella prima c’è un figlio, vestito da uomo in carriera, alle prese con la demenza vergognosa del padre, che continua a farsela addosso imbrattando tutta la scena, composta da un salottino con tv, un tavolo con sedia e un letto matrimoniale. Sono due persone sole: non ci sono mogli né infermiere né badanti, è un vero «a tu per tu». Il figlio cerca di sdrammatizzare, pulisce docilmente il padre che, appena cambiato, si sporca nuovamente, e intanto piange disperato per l’umiliazione, e domanda scusa al figlio, che è un figlio buono, e quando si accorge che gli escrementi non possono essere puliti perché continuano e continueranno sempre a uscire, a dispetto di tutti i pannoloni, non si arrabbia con suo padre, e si limita a chiedere, disperato: cosa ti è successo?
Già: cosa gli è successo? Che succede all’uomo? La domanda è la più legittima di questo mondo. Che noi non ci facciamo da soli, che il mito del self made man sia una fola, questo è certo. Ma noi, come finiremo? La nostra vita, i nostri valori, le nostre speranze, ciò che abbiamo costruito, come finirà? Finirà, scusate, tutto in merda? Di qui la domanda, il grido. Chi ci potrà salvare? Non certo la medicina. E allora bisogna che Dio, in qualche modo, ci risponda, con le buone o con le cattive. Perciò quando tutta la scena si riempie di liquami, ecco che (seconda parte) si fa buio, s’illumina il volto di Cristo che a poco a poco si riga di liquido scuro fino a essere lacerato lasciando il posto a una scritta fosforescente: «You are my shepherd», Tu sei il mio pastore, mentre accanto ad «are» compare, non illuminato, un not: «Tu (non) sei il mio pastore». Possiamo aggiungere che la pièce tratta bene il tema della vecchiaia e dell’infermità. Gli oggetti (sedie, tavolini, divani) si trasformano in altrettanti ostacoli, e l’umiliazione della decadenza viene scontata - è un tratto tipico della poetica di Castellucci - dagli attori, che devono sottoporsi al non piacevole esercizio del lavaggio di un culo sporco di cacca et similia.
Questo è lo spettacolo. E ora le domande lasciate in sospeso.
La prima. Il volto di Cristo viene imbrattato di escrementi? La risposta è sì: il liquido che lo sporca è, agli occhi di chi guarda, lo stesso che il pannolone del vecchio non riesce a contenere. Castellucci dica quello che vuole: è merda e merda rimane. La seconda. Questo offende la fede di un cristiano? La mia risposta è no. Abbiamo visto crocefissi omosex che limonavano, abbiamo visto madonne immerse nell’orina, e in un film di Bergman una donna si masturba con un crocefisso. Giovanni Testori, cattolico, in In exitu paragona una fellatio (idest pompino) alla Prima Comunione. Un tempo però eravamo più capaci di distinguere l’irrisione gratuita e cattiva dall’invocazione, che spesso si nasconde anche dietro una apparente bestemmia. Quello che, invece, mi preoccupa è questo irrigidimento delle posizioni, che sempre più hanno bisogno di guerre sante, avvocati e processi. Io non voglio che i cattolici diventino né come i talebani né come una delle tante lobbies all’americana - che so, quella dei gay - pronti a intentare cause. E mi batterò, anche da solo, per questo. La logica della minoranza è una logica perversa, e l’uomo che si pensa come minoranza non è meglio dell’uomo-massa, perché ha un concetto meschino della sua diversità.

Cari lettori, amici, nemici: l’uomo non è una minoranza, nessuno al mondo è minoranza. Questo è il problema: o Dio ha impresso il Suo Volto in ognuno di noi, oppure la sentenza di Castellucci è vera: tutto ciò che siamo finirà in m...

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