Sembra Beckett ma è il Testori più struggente

Il primo incontro scenico tra Sandro Lombardi, grande interprete di spettacoli memorabili, e l’Erodiàs di Giovanni Testori, struggente assolo scritto all’inizio degli anni ’90 e inserito nel trittico Tre lai (insieme con Cleopatràs e Mater strangosciàs), risale al ’98. Anno in cui l’attore toscano, diretto da Federico Tiezzi, dette corpo all’immaginario carnale e insieme visionario della lingua testoriana aggiudicandosi l’ennesimo Premio Ubu per un lavoro dove ai lamenti furiosi e sensuali della moglie di Erode sul corpo di Giovanni Battista seguivano quelli, acri e impietosi, di Maria sul cadavere di Gesù.
Adesso Lombardi torna a quel testo viscerale e teatrale e ne isola la sezione dedicata esclusivamente a Erodiade per regalarci, ancora una volta, un capolavoro di maestria e sensibilità, oltre che di impareggiabile compenetrazione con l’autore. Tanto più che questa nuova versione, realizzata per il Maggio fiorentino 2008 e attesa per questa sera all’Ara Pacis come titolo di chiusura della rassegna «Musei d’estate. Quando l’arte diventa spettacolo», reintegra alcune parti di testo prima tagliate e, se vogliamo, scava ancora più a fondo dentro la grottesca tragedia di un personaggio che si pone a metà strada tra le clownesche disillusioni di un’artista (donna ma anche uomo) e le stridenti ambiguità di una vicenda già data. Come nei precedenti Edipus, Cleopatràs e Ambleto, anche qui lo scrittore milanese (scomparso nel ’93) immagina infatti un teatrino di provincia tanto vistoso quanto bistrattato e un’attricetta senza futuro che si ostina a portarvi avanti la sua recita. Con indosso un frak, una corona e gioielli di ogni tipo, Erodiàs/Lombardi incarna perfettamente questa bislacca figura e, interrato in un pozzo fino alla vita, ne rimanda l’eco fino alla sperduta Winnie di Giorni felici. Ma, per quanto quasi immobile come Winnie, sembra un organismo in continua trasformazione: viso, busto e voce a servizio di un dolore che tradisce intonazioni farsesche e di presenze «altre» solamente evocate eppure del tutto vive.


Gli spettatori non possono dunque fare altro che lasciarsi trasportare; cogliere le esagerazioni barocche di una lingua mai stanca di rinnovarsi e ribollire; seguire gli sfoghi impetuosi di una soubrette alla ribalta capace di mettere insieme sacro e profano, eros e Dio, basso e alto, pulsione vitale e morte, passione e disgusto. Da non perdere.
Info: 060608, www.arapaacis.it. Ingresso gratuito.

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