Senato, i conti dell’Unione non tornano

Fassino assicura: 162 voti certi. Però manca ancora un nome. De Gregorio in ospedale: ci sarò, anche in ambulanza

Senato, i conti dell’Unione non tornano

da Roma

Per ben due volte anche ieri, in radio e in televisione dunque a tutti gli italiani, Piero Fassino è tornato ad assicurare che l’Unione al Senato possiede la «necessaria maggioranza politica» richiesta dal Quirinale, per rifiduciare l’asfittico governo Prodi. Quasi una formula, o forse una giaculatoria, ormai: «Noi disponiamo della maggioranza, sia sui senatori eletti, 158 su 315; sia sull’intero Senato, compresi i senatori a vita, di 162 almeno su 322». Come Bruto, il segretario della Quercia è uomo d’onore, dunque meritevole d’esser creduto. Ma perché questo 158° senatore, il decisivo dopo l’acquisto di Marco Follini, resta così misterioso e nascosto? E quando sarà svelata al volgo la sua salvifica e taumaturgica icona? Mostrerà la tuta di Superman durante il dibattito? O l’indomani, in zona Cesarini, al momento del fatidico voto?
Sì, i calcoli... Se non fosse preoccupante il degrado in cui van versando le nostre istituzioni, ci sarebbe da ridere per la pantomima in cui si sta dipanando questa vicenda. Feydeau si rivela un dilettante, davanti a chi sta cercando di ritardare all’estremo il voto di fiducia al Senato - non prima di giovedì, par che abbiano già deciso - nonostante il presidente Napolitano avesse ordinato «tempi brevissimi», allo scopo unico e sostanziale di consentire a Rita Levi Montalcini il ritorno da Dubai e a Oscar Luigi Scalfaro di riprendersi dal febbrone che lo tiene a letto da giorni. Ieri le agenzie han lanciato come flash urgenti e allarmanti, il ricovero in clinica di Sergio De Gregorio, il senatore dipietrista passato all’opposizione. Nel centrosinistra son fioriti speranza e buonumore, subito smorzati alla precisazione che trattavasi di colica renale, «roba superabile in 48 ore» sorride disincantato il mastelliano Nuccio Cusumano. Ma ora che fai, acceleri il voto per sfruttare i calcoli renali o conservi il programma di smaltimento del jet lag dagli Emirati, scommettendo sull’ambivalenza del pio Oscar? De Gregorio a ogni buon conto, a sera ha fatto assicurare che sarà comunque in Senato per votare contro il governo Prodi, «anche a costo di farsi portare in ambulanza».
Ma torniamo alla caccia del fantasmatico 158° senatore. È ormai accertato che non è il senador Luigi Pallaro: l’indipendente dall’Argentina fa sapere di non aver promesso niente a nessuno, ma propende per il no. Non si tratta di Giuseppe Saro né di Massimo Fantola, che hanno già smentito categoricamente giurando fedeltà all Cdl. Ieri ha smentito solennemente pure Cosimo Izzo, «sono un convinto ed entusiasta sostenitore del presidente Berlusconi» ha proclamato, e dunque la lista dei sospetti è vuota. Luca Volontè, dopo l’ennesima verifica tra i senatori dell’Udc, si dice certo che nessuno seguirà Follini, dunque Fassino «è lunare». Antonio Martusciello ammette che offerte e «mercanteggiamenti» piovono su molti senatori forzisti, ma oltre che «scarsamente edificanti» questi tentativi si rivelano «maldestri». Dunque, assicura il capogruppo al Senato Renato Schifani, Fassino «ostenta finta sicurezza».
Che non sian rose e fiori come vorrebbe lasciar credere Fassino, lo dice il pressing al quale sono sottoposti - adesso, figurarsi tra un mese quando sarà in ballo l’Afghanistan - Fernando Rossi e Franco Turigliatto. «Non ho dubbi che voteranno la fiducia», assicura la capogruppo del Pdci Manuela Palermi. Ma Turigliatto, oltre al «sicuro no» su Afghanistan, Tav e pensioni, continua a dire che ora non intende «votare a scatola chiusa». Pure Rossi confida: «Mi stanno telefonando tutti, cortesemente devo dire, ma ci sto pensanso».


L’impressione è che Fassino agiti quel 158° senatore incappucciato per rincuorare gli animi e serrare le fila, chiudendo vie di fuga anche a Rossi e Turigliatto. Tanto, se poi la fiducia si prende con 161 voti invece che 162 e risulterà determinante l’apporto dei senatori a vita, chi vuoi che si lamenti? Anche il Quirinale dovrà starci, e un altro mese di respiro è assicurato.

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