«Sento ancora le bombe arrivare dal mare»

I cannoni della flotta inglese causarono 144 morti e ingenti danni alla città

«Sento ancora le bombe arrivare dal mare»

«Quando alle otto di mattina abbiamo sentito le prime cannonate, non ci siamo resi conto di che cosa stesse succedendo perché non avevamo mai vissuto una situazione del genere: era la prima volta che la nostra città veniva bombardata. E il pericolo arrivava dal mare». A distanza di 66 anni, il ricordo del 9 febbraio 1941 è ancora ben scolpito nella memoria della signora Maria, affezionata lettrice del «Giornale» («dal primo numero nel 1974», precisa lei).
Quella mattina, alle prime luci dell'alba, Genova si svegliò sotto il fuoco dei cannoni della flotta inglese che causarono 72 morti e 226 feriti, secondo il bollettino di guerra italiano. In realtà il sacrificio di vite umane fu molto più pesante: 144 morti e 272 feriti tra la popolazione civile con danni ingenti alle abitazioni e agli impianti dell'area industriale. L'attacco dal mare durò un'ora e mezza. «Avevo vent'anni e a quei tempi abitavo in Largo Merlo - riannoda il filo dei ricordi la signora Maria che oggi ha virato la boa delle 85 primavere - All'improvviso insieme alla mia amica abbiamo udito dei colpi molto forti. Lì per lì abbiamo pensato che si trattasse di un pericolo lontano…». Le navi inglesi avevano iniziato a bombardare la città seminando panico e morte tra i genovesi. Il comando in mare dell'operazione fu assegnato all'ammiraglio Sommerville, comandante della forza H di base a Gibilterra. Per fortuna metà delle salve sparate dalle corazzate Renown e Malaya si spensero in mare. Le altre, invece, non risparmiarono case e abitazioni civili. Da via Galata a corso Mentana, dall'ospedale Galliera a via San Vincenzo, da via Bertani a piazza Colombo, che prese poi il nome di piazza Nove Febbraio. «Qui abitava una mia cara amica - prosegue la lettrice del Giornale - i proiettili sventrarono un pezzo di casa sua. Lei riuscì a salvarsi, dopo essersi riparata in un angolo della stanza. Allora i consigli erano questi: sotto le bombe bisogna mettersi in un angolo. Quando i colpi cessarono, uscimmo fuori».
Uno dei proiettili sparati dalla flotta dell'ammiraglio Sommerville concluse il suo tragitto nella cattedrale di San Lorenzo, restando miracolosamente inesploso, pur avendo sfondato le pareti della chiesa. Tre dei 55 piroscafi attraccati in porto subirono danni molto pesanti. «Mentre il Duilio e l'altra nave che si trovava in bacino per riparazioni (il cacciatorpediniere Bersagliere n.d.r.) scamparono all'attacco - prosegue nel racconto la donna - una nave da guerra italiana, di cui non ricordo il nome, iniziò a sparare anche se non aveva ricevuto l'ordine militare. E gli inglesi, a quel punto, tornarono indietro pensando che la città fosse difesa. Ma il comandante, che aveva dato fuoco senza aver ricevuto ordine dai superiori, fu punito come un reprobo. Eppure era riuscito a salvare Genova dalla distruzione. Solo a guerra finita gli furono riconosciuti i suoi meriti». Nel pomeriggio - come riferisce il bollettino di guerra italiano - le navi nemiche furono raggiunte da una formazione aerea italiana che riuscì a colpire con una bomba, a poppa, un incrociatore. In realtà, secondo quanto riferiscono Mario Cervi e Indro Montanelli nell' Italia della disfatta, «la squadra inglese, compiuto il suo colpo di mano, non fu intercettata sulla rotta del ritorno dalle nostre navi da battaglia, che pure parevano in eccellente posizione per farlo, né fu ostacolata seriamente dalla aviazione».
I ricordi della donna non si fermano al bombardamento navale del 9 febbraio 1941. «Il 7 novembre 1942 alcuni aerei britannici colpirono di nuovo Genova. Una bomba sfondò il tetto di casa nostra, in Largo Merlo, fermandosi appena sotto. La camera da letto di mia nonna rimase avvolta dalle fiamme. Ci salvammo per un pelo». In quell'occasione furono particolarmente colpite le zone centro - orientali della città (così si legge nel bollettino di guerra).

Le vittime furono 20 con 50 feriti. Due dei bombardieri nemici vennero abbattuti. «Nell'autunno del 1942 - conclude la donna - andai per qualche mese a Santa Margherita, e la stessa cosa fecero molte altre famiglie genovesi in quel periodo».

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