Senza manicomi criminali il matto è senza fissa dimora

Dal 1° aprile chiuse le vecchie strutture ma le nuove non sono pronte. La solita politica all'italiana: si rischia il bis (tragico) della legge Basaglia

Jack Nicholson in "Shining"
Jack Nicholson in "Shining"

Sullo sfondo grigio del cielo biellese villa Sella è un edificio tetro. Quasi viene da credere alle voci che la vogliono abitata da fantasmi. Colpa dell'antica leggenda per cui, prima della sua edificazione nel 1879, in quel punto c'era un santuario con un affresco della Madonna, che un folle sfregiò a pietrate. Oggi la villa, quasi per nemesi, dovrebbe ospitare chi dalla follia dev'essere aiutato a guarire. La legge 81 del 2014 ha sancito, dopo anni di dibattiti e proroghe, la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Almeno sulla carta. Di fatto, villa Sella adesso è vuota. Bisogna ristrutturarla, ma «i 12 milioni erogati dallo Stato alla precedente giunta, quando sono arrivato non li ho trovati», si giustifica l'assessore alla sanità Antonio Saitta. Intanto si pensa a strutture alternative - temporanee ­ come il vecchio ospedale degli Infermi a Biella, oppure a Grugliasco (To) o Voltaggio, nell'alessandrino. Per ora tutte ipotesi, mentre fioccano le proteste dei cittadini.

STRUTTURE FANTASMA

Il Piemonte è paradigma di quel che sta accadendo nel Paese. Tutti d'accordo a chiudere le celle dei sei ospedali psichiatrici (Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Aversa, Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto), rivelatisi talvolta luoghi da brivido: pazienti legati ai letti e bottiglie calate nei buchi dei gabinetti per sbarrare l'accesso ai topi di fogna, come rese pubblico una commissione parlamentare d'inchiesta nel 2010. Ma delle nuove strutture (le Rems, Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza) che dovevano entrare in funzione dal 1° aprile, non c'è traccia. Dovevano ospitare gli internati ritenuti da periti e giudici «non dimissibili» (cioè ancora bisognosi di cure e potenzialmente pericolosi) e assistiti da personale medico dei dipartimenti di salute mentale delle Asl, più che controllati da guardie penitenziarie. Luoghi con un massimo di 20 posti letto; una, due o più strutture in ogni Regione, a seconda della capienza richiesta per accogliere chi da quel territorio proviene. In tutto, poco più di 400 persone: non numeri da esodo biblico.

Ma il passaggio «dalla contenzione alla cura», annunciato come una svolta epocale e finanziato con 172 milioni di euro, è di là da venire. Per i ritardi ma anche per le proteste dei cittadini che non vogliono «i matti» dietro casa, specie se non è pronto ciò che per legge doveva esserlo. Paola Di Nicola, magistrato del Tribunale di Roma che ha seguito e giudicato parecchi casi di reati commessi da malati psichiatrici, non ha dubbi: «Il principio della riforma è giusto e la magistratura lo ha fortemente voluto. Purtroppo, però, sono certa che siamo di fronte a una “Basaglia 2”: c'è stata disattenzione da parte delle istituzioni, gli enti locali hanno cercato di prendere tempo, chiedendo l'ennesimo rinvio invece di trovare soluzioni adeguate». Nessuno pensava che dal 1° aprile gli ospedali psichiatrici avrebbero chiuso come per magia. E infatti molti sono ancora in funzione. «Sarà un passaggio graduale», hanno ribadito gli addetti ai lavori, a partire dal sottosegretario alla Salute Vito De Filippo. Ma nemmeno metà delle regioni è pronta.

OGNUNO A MODO SUO

Si scopre che «regionalizzazione» fa rima con confusione. Con l'eccezione della Lombardia, dove l'Opg di Castiglione delle Stiviere era già gestito da personale a prevalenza sanitaria. Qui saranno ospitati anche i detenuti-pazienti liguri: la giunta Burlando infatti anziché predisporre Rems, ha scelto di pagare 300 euro al giorno per ogni suo malato. Il Veneto è stata la prima Regione a rischio commissariamento, l'unica a essersi all'inizio persino rifiutata di elaborare un piano. Ora corre ai ripari con il progetto di una Rems a Nogara (Vr), accanto all'ospedale Francesco Stellini. Siccome i tempi sono lunghi, si pensa a «residenze intermedie».

Nel Paese dove il provvisorio tende a durare all'infinito lo stesso concetto è applicato in quasi tutto il centro­sud. Sono «di passaggio» due delle quattro strutture laziali. Bloccata da ricorsi anche la pre­Rems di Guardiagrele (Chieti), destinata agli ex internati abruzzesi e molisani. Le Asl si arrovellano su altre soluzioni, mentre sul terreno scelto per la struttura definitiva a Ripa Teatina c'è un ecomostro ancora da abbattere. In Toscana sono state individuate quattro sedi, dopo che la battaglia dei radicali ha scongiurato l'ipotesi di trasferire i pazienti non dimissibili assieme ai detenuti in semilibertà a Solliccianino, accanto al carcere Mario Gozzini. Nella lista c'è anche il complesso appendice dell'ospedale di Volterra. E cosa c'era lì, prima? Un manicomio. Si cambia per tornare indietro, «intanto gli internati toscani sono ancora nell'Opg di Montelupo», fa notare il radicale Maurizio Buzzegoli, «perciò invochiamo la nomina di un commissario ad acta, come prevede la legge in caso di ritardi». Stessa richiesta arriva dalla Camera penale di Reggio Calabria, perché le Rems di S. Sofia d'Epiro (Cs) e Girifalco (Cz) non sono pronte. Rimandata a fine mese anche l'apertura delle strutture pugliesi e sarde - sempre provvisorie- a Spinazzola (Bt) e Capoterra (Ca). In Campania, in attesa che le Rems casertane e avellinesi vedano la luce, le Rems­ponte sono previste a Roccaromana e a Mondragone, il paese della rivolta degli immigrati del 2014. Va un po' meglio in Sicilia, dove le Rems nel catanese e nel messinese sono aperte, e già quasi piene: il rischio è «arrivare subito a saturazione, se non partono piani di recupero alternativi», avverte Nunziante Rosania, direttore dell'ospedale psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto.

STALKER E OMICIDI

C'è un dato tecnico che preoccupa il giudice Di Nicola: «È una riforma fatta di commi sparsi inseriti nei decreti legge, senza modifiche nel codice e nella procedura penale, che continuano a prevedere la misura di sicurezza in Opg. Ma se questi sono superati e le Rems non ci sono ancora, dove si sconta questa misura?». Bisogna poi capire chi si prenderà cura sanitariamente di queste persone. «Se un soggetto è considerato pericoloso è perché purtroppo esiste il rischio che commetta nuovamente gli stessi reati.

Che nel 60% dei casi sono contro la persona: stalking, aggressioni ripetute, tentativi reiterati di omicidio, spesso nei confronti di mogli e compagne. Inutile, poi, disperarsi dei tanti femminicidi se non si assicura un percorso di cura efficace, vero, a chi commette atti persecutori nei confronti delle donne».

Twitter @giulianadevivo

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