La sfida dei cardiochirurghi

É un abbo di passaggio per la cardiochirurgia italiana il 2014. Si cerca di sciogliere alcuni nodi che rendono difficile la vita nelle sale operatorie. Si vuole migliorare l'efficienza di un'area ad alta specializzazione. Il 90% dei Centri cardiochirugici italiani è oggi oggetto di una indagine da parte della magistratura. I casi di contenzioso sono talmente cresciuti che le assicurazioni appaiono non più interessate al rinnovo dei contratti. Molti chirurghi non intervengono su casi complessi. In sala operatoria la fondamentale serenità rischia di essere compromessa. Occorrono modifiche legislative per conservarla.
Una vera rivoluzione è in atto. Si deve puntare all'efficienza. Ne è convinto Lorenzo Menicanti, presidente della Società italiana di chirurgia cardiaca (Sicch). Come primario cardiochirurgo al San Donato di Milano, Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, ha raggiunto autentici primati internazionali sia in termini di efficienza sia di risultati scientifici ed operativi. Oltre 160 cardiochirurghi statunitensi sono venuti a Milano per conoscere i suoi interventi sul cuore per la cura dello scompenso cardiaco. «Abbiamo già impostato programmi con le Regioni, l'Istituto superiore di sanità e l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) per rendere più efficaci le procedure. In una ottica di migliore trasparenza stiamo realizzando il primo Registro italiano di cardiochirurgia. Conterrà tutti i dati ed i risultati ottenuti nei 103 Centri cardiochirurgichi italiani. Presentato nel corso del XXVI congresso nazionale della Sicch, questo registro consentirà di monitorare l'attività svolta fornendo elementi indispensabili ad una corretta programmazione. Troppe volte al paziente - prosegue Menicanti - si offre un trattamento all'apparenza più semplice e meno invasivo, che si rivela poi poco efficace e che richiede altri interventi aumentando i rischi e indubbiamente anche i costi». L'obbiettivo è migliorare costantemente gli standard ed i risultati della chirurgia, affinché ogni paziente riceva la cura migliore. Per questo occorre raccogliere ed analizzare in modo completo i risultati clinici ottenuti. Lo scambio dei dati tra database clinici ed amministrativi permetterà di valutare con precisione i rischi di un intervento ed operare un confronto tra risultati attesi e misurati.
«Come Società Italiana di Cardiochirurgia - precisa Menicanti - abbiamo sempre messo in evidenza che il numero dei centri cardiochirurgici nel nostro paese è troppo elevato. Una riduzione razionale potrebbe dunque portare ad un contenimento dei costi. Più difficile stabilire i criteri attraverso i quali operare questa riduzione; a volte infatti, centri con mortalità superiore alla media, hanno questi risultati perché trattano pazienti molto complessi, che non hanno trovato risposte terapeutiche in altre sedi». Ci sono ben 107 centri di cardiochirurgia in Italia, troppi se si considera che in Germania, con una popolazione molto più ampia della nostra, sono appena 80. Si deve operare una riprogrammazione a livello territoriale, con un numero di centri commisurato alla popolazione a rischio. Il fabbisogno di cardiochirurgia nel nostro Paese è di un intervento ogni 1.000 abitanti, quindi il numero ideale di centri dovrebbe aggirarsi intorno ai sessanta. Vanno mantenuti quelli che realizzano tra i 500 e i mille interventi l'anno.

Occorre inoltre bloccare la moltiplicazione eccessiva delle scuole. La formazione universitaria in cardiochirurgia va integrata nella chirurgia toracica e quella vascolare per dare vita ad una specializzazione unica, come già da tempo avviene nella maggior parte dei Paesi Europei.

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