SFIDUCIA POPOLARE

Le assemblee di Mirafiori si sono pronunciate e hanno contestato la Finanziaria di Romano Prodi, per interposta persona. Le persone sono Epifani, Angeletti e Bonanni. Dalle parti di Palazzo Chigi, chi vuole si può consolare ricordando che il grande stabilimento della Fiat non è più il cuore pulsante del lavoro operaio ed è stato ridotto a poco più di un simbolo. E che i metalmeccanici rappresentano, comunque, da tempo l'anima più dura del sindacato. Chi vuole può anche esorcizzare quanto è accaduto ieri, avvertendo che erano altri tempi - c'erano un'altra Italia e un altro mondo - quando la marcia romana delle «tute blu» indusse Enrico Berlinguer a porre fine alla «solidarietà nazionale».
Si può anche far finta di niente, ma il messaggio è chiaro. Le scelte del governo dell'Unione non piacciono neanche a coloro che ne vengono indicati come i beneficiari. I quali non credono all'intento redistributivo della manovra, diffidano del trasferimento del Tfr all'Inps, capiscono che il sindacato si è trasformato in un soggetto politico, a far da «stampella» al governo quando c'è il centrosinistra, così come ha passato cinque anni a proclamar scioperi e a sventolare la bandiera dei «diritti», quando c'era il centrodestra. Non c'è nessun difetto di comunicazione. Anche i beneficiari hanno capito di essere un'entità virtuale e sanno che Romano Prodi e Massimo D'Alema sono infinitamente più sensibili allo starnuto di un banchiere che agli argomenti di un operaio, e che il voto di un amministratore delegato pesa più di tutti i loro messi assieme. Soprattutto, non si sentono rappresentati e avvertono di essere ai margini di quel blocco di interessi e di poteri che danno forma all'Unione.
C'è da scommettere che ora alzeranno la voce tutti coloro che, nella maggioranza, ambiscono ad essere i loro garanti. Che si aprirà un problema a sinistra. Che ci sarà una corsa a riconquistarli, visto che si tratta di militanze, di forze organizzate, di voti. La consueta scena degli strattoni, anche se si è sempre detto e ripetuto da parte di Rifondazione, dei Ds e dell'arcipelago estremista, che si trattava di una Finanziaria a favore del popolo. Non si tratta però di un conflitto riconducibile ai consueti schemi, agli spostamenti possibili degli equilibri nella innaturale coalizione composta da massimalisti e riformisti.
Quel che si vede, giorno dopo giorno, è che proprio dal popolo viene un rifiuto, anzi un esplicito e crescente ripudio. Era infatti popolo quello che si è radunato sabato scorso a Roma, anche se troppi hanno fatto finta di non vederlo. Sono segmenti di popolo quelli che protestano - ultimi i sindacati di polizia, i vigili del fuoco, ma l'agenda delle contestazioni resta fitta - per sentirsi subito dar ragione da coloro che hanno ideato, sottoscritto e già votato alla Camera una Finanziaria che continua a cambiare ogni giorno. Sono pezzi di popolo le assemblee a Mirafiori. Non si tratta di gente che lascia la Bmw in seconda fila per scendere a gridare contro Prodi. C'è ormai una comunità che si oppone e che non si fida.
La novità è che si tratta di un fenomeno trasversale. È fatto di motivazioni diverse, quando non opposte. È contraddistinto da tante richieste.

Vi partecipa chi non sente il governo come «un amico» e non voterebbe per il centrodestra e chi invece aspira all'alternanza il prima possibile. Ma un tratto è comune: la sfiducia crescente e generalizzata nei confronti dell'Unione delle élites, ma senza popolo.

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