
Peggiorano le condizioni di salute del critico d'arte Vittorio Sgarbi, ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma a causa dell'aggravvarsi della sindrome depressiva che da tempo lo affligge. Il critico resta sotto monitoraggio costante nell'ospedale romano, sottoposto anche a controlli specialistici. Il ricovero è necessario anche perché, tra le ricadute dello stato depressivo, c'è ora anche il rifiuto di alimentarsi. Questo quanto recita il bollettino medico diffuso ieri. Ma il critico nella perfetta tradizione «sgarbiana» di chi è dotato di un cromosoma dello «stupore», sorprende quando meno te lo aspetti. Raggiunto al telefono nel letto d'ospedale risponde con un tono sostenuto, mentre sta facendo fisioterapia: «Ciao! - parla in vivavoce mentre è impegnato a fare ginnastica - Grazie che hai chiamato, ci sentiamo!».
Un guizzo di vitalità fa breccia nel buio in cui sta vivendo da mesi, come lui stesso ha raccontato recentemente, nell'incomprensione e nello sconcerto generale. Aver avuto il coraggio di raccontare cosa significa dover affrontare il male oscuro, ha permesso di portare alla ribalta una malattia che ancora soffre dello stigma sociale e della (ver)gogna pubblica. E che colpisce ancora di più quando a esserne afflitto è qualcuno che è sempre stato celebre per il carattere ribelle, intemperante, per l'indole a tratti aggressiva ma traboccante energia. Una delle sue battute preferite è: «Io non ho bisogno della cocaina per vivere in questo modo, è lei che si eccita quando mi vede».
Una condizione, quella della depressione, descritta dallo stesso Sgarbi con estrema lucidità e con il tragico dolore che la accompagna. «La depressione ti fa sentire come se fossi in un tunnel buio, senza via d'uscita, e la cosa peggiore è che chi ti sta intorno non capisce, confondendo la depressione con una semplice tristezza passeggera». E proprio questo non nascondere la propria sofferenza, il voler spiegare e raccontare cosa sta attraversando ha commosso moltissime persone, dai suoi amici intellettuali alle persone comuni.
«Mi colpisce molto sentirlo depresso, ma anche descrivere la depressione come solo lui poteva fare, con parole precise: La depressione è un treno fermo in un luogo ignoto» racconta Massimiliano Parente, scrittore e amico. Così Marcello Veneziani che lo provoca: «Vorrei gridare al mio amico Sgarbi Rialzati e cammina, capra!».
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