Si mangia sempre e ovunque

di Andrea Cuomo

U sciti i mercanti, nel tempio sono entrati gli chef. Nel tempio ma anche nel museo, in libreria, in banca. Nel negozio, al cinema, a teatro.

Ormai si mangia dappertutto. Ormai si mangia sempre. Il ristorante della vita non chiude mai e il conto non è sempre modico.

Un tempo il cibo era un rito, a volte piccoloborghese, più spesso lazzarone, che aveva luoghi e orari deputati, ancorché modesti. Perfino i giorni avevano la loro liturgia, dettata dalle festività, dalle tradizioni religiose. Giovedì gnocchi, sabato trippa. In mezzo, il venerdì, pesce e non carne. La domenica trionfi di pastasciutte ripiene e di arrosti lungamente infornati. Il lunedì, poi, gli avanzi della domenica. Si mangiava in cucina, in sala da pranzo. Se si usciva, al ristorante.

Ora è diverso. Il cibo ci ha invaso. È entrato nelle televisioni e di là è dilagato ovunque. In luoghi e in orari insoliti. Sono nati ristoranti che restano aperti dalle sette di mattina all'una di notte, e che oltre al pranzo e alla cena provvedono alle colazioni, alle apericene e agli aperipranzi, al dopoteatro, al precinema.

Di conseguenza sono cambiati gli spazi. Al cinema Anteo, a Milano, c'è una sala, la Nobel, in cui durante la proiezione del film è servito un pasto da pagare a parte. Dai fratelli Lumière ai fratelli Cerea. I musei da diverso tempo ospitano ristoranti di una qualche pretesa, a Milano il Mudec ha due stelle Michelin non grazie a Frida Kahlo ma grazie a Enrico Bartolini. Prima di lui il primo chef-manager, Antonello Colonna da Labico, aveva portato la sua cacio e pepe nel rooftop dell'austero palazzo delle Esposizioni che biancheggia a metà di via Nazionale, a Roma. Si mangia nelle librerie, in aeroporto (il tristellato Heinz Beck propone un pranzo ad alta quota dentro il terminal extra-Schengen di Fiumicino e sul tavolo ha piazzato delle clessidre per non mettere a rischio l'imbarco), nelle stazioni che si stanno dotando di ricche food hall. I centri commerciali un tempo non esistevano, ma ora sono anche dei grandi luoghi schizzacravatte. Le palestre si sono dotate tutte di bar-ristorante in cui riannettersi le calorie appena perdute. Paradossalmente si mangia sempre meno e sempre peggio nei due soli luoghi extraterritoriali della cucina di un tempo: treni e aerei. Sui primi il vagone ristorante è ormai attraente come l'anticamera di un osteopata, sui secondi ti va bene se ti danno un sandwich con il salmone color fucsia.

Qualche settimana fa eravamo a Londra e abbiamo notato che l'odore di cibo era dovunque: ai tornelli

della metropolitana, davanti alla Tate Modern, al secondo piano del bus double decker. Un tempo nelle strade l'odore di cibo si sentiva solo nelle domeniche consacrate al ragù, dalle finestre aperte delle case attovagliate.

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