«Veltroni doveva venire qua, invece di andare a trovare quella poveretta in ospedale. Con quale coraggio ha guardato in faccia il marito annientato dal dolore? Come glielha spiegato che nonostante anni di proteste, di lettere, di denunce su questo degrado inumano, nessuno ha mai mosso un dito? Che il massacro della moglie si poteva evitare?». È furibonda Matilde G., imprenditrice, titolare di una delle settanta attività artigianali che sorgono su via Camposampiero, con affaccio diretto sul viottolo della morte, la stazione di Tor di Quinto e il campo degli orrori. Da quarantanni, con la sua famiglia, si occupa di restaurare mobili antichi: «Ma da quando sono arrivati questi qua, gli zingari, non cè stata più pace. Un inferno. Rubano a qualsiasi ora del giorno e della notte, te li ritrovi davanti come se niente fosse, pare che ti prendano in giro. Se una delle nostre aziende non è in regola per uninezia, giù guai e controlli a non finire. Loro, invece, restano impuniti». Le fa eco Bruno, a capo di unofficina galvanica: «Questestate, durante lorario di lavoro - dice - un romeno sè introdotto nel parcheggio è salito sul nostro furgone e sè messo a correre come un pazzo sulla Flaminia, per poco non faceva una strage al mercato. Non solo ho dovuto ripagare tutti i danni con lassicurazione, ma per poco non ci rimettevo la pelle per lo spavento. Mi sono sentito male e da allora vivo nel terrore».
In questangolo di campagna e favelas zuppo dacqua e di fango a due passi dai Parioli e dagli attici del Fleming, allindomani di una tragedia che qui bollano come «annunciata» ognuno si precipita a raccontare la sua tra rabbia e sete di giustizia. Come la signora Amelia, 55 anni, gli occhi lucidi di lacrime davanti al mazzo di fiori bianchi e rossi lasciati allinizio della via. «Prego per quella donna, perché anche suo marito trovi pace - sussurra con un filo di voce -. Ma questa è una guerra. Io vivo praticamente blindata da quattro anni. Casa mia è qua vicino; da quando sono arrivati i romeni ho dovuto mettere le inferriate alle finestre. Poi hanno smurato pure quelle e sono riusciti a rubare lo stesso. Quindi ho messo lallarme. Neanche questo è servito. Pensare che anni fa lasciavo la chiave sulla porta. Adesso però ho paura. Ho paura quando mia figlia esce e rincasa da sola. Ho paura quando percorro questa strada maledetta fino al treno. Basta, qualcuno dica basta una volta per tutte».
Prima di Giovanna Reggiani, lunedì, erano state rapinate altre due donne. Nello scorso mese di agosto i residenti del XX Municipio avevano raccolto e inviato a sindaco e prefetto ben 5mila firme per chiedere lo sgombero degli accampamenti abusivi attorno alla stazione. Parole al vento. Lungo i cento metri di vialetto che dividono la fermata del treno Roma-Viterbo alla strada principale è tutto un cimitero di rifiuti e scarti dogni tipo. Sotto il cavalcavia, mesi fa una rom era morta bruciata in un incendio divampato nella sua stamberga. Non cè un lampione, le fogne sono a cielo aperto nonostante larea sia di proprietà delle Ferrovie dello Stato.
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