San Giorgio e la Salute si vedono bene da Ca' Giustinian, il quartier generale della Biennale Musica, a Venezia. Bar di fronte a motoscafi e gondole, un bel luogo per parlare, anche se il vento «frusta» i tavolini. Paolo Buonvino, classe 1968, autore di musiche per il cinema - e non solo - è ospite del festival di contemporanea diretto dalla compositrice Lucia Ronchetti (lui ha appena fatto una lezione prevista dal programma al Conservatorio «Benedetto Marcello»). «Discepolo spirituale» di Franco Battiato, il Maestro ha lavorato con molti registi, come Virzì, ma anche con star della musica italiana e non, come Elisa e Skin; da ragazzo è partito dalla sua Sicilia alla conquista del mondo di celluloide. Oggi Buonvino è uno dei maggiori autori italiani di colonne sonore per film. Ha scritto note per «L'ultimo bacio» di Muccino, «Romanzo Criminale» (Michele Placido) e «Caos Calmo (Antonello Grimaldi). E per la tv le musiche de «La piovra 8 e 9». A casa ha portato un David di Donatello e nove nomination. C'è tanto di cui parlare. Davanti a un caffè ci tiene a raccontare delle sue origini. «Vengo da Scordia, provincia di Catania - attacca - Quello che accade nella nostra vita ci lascia una impronta. E la Sicilia ce l'ho nel mio Dna».
Parliamo della «sua» isola.
«Sono nato in un contesto di semplicità, che per me è ricchezza. Mio padre, Rocco, era mastro-muratore, mia mamma, Giuseppina, si occupava dei figli, come si usava allora».
Una famiglia povera in una zona che vive sulla coltivazione delle arance.
«No, povera no. Perché da noi quella del mastro-muratore è un'arte. Chi la praticava, era muratore-architetto-scultore. Mio papà faceva le case da cima a fondo. Orgoglioso, mi diceva non è che mi guadagno la giornata, io faccio le dimore delle persone».
Un'arte non si improvvisa, no?
«Proprio così, mio padre imparò da suo padre. Mio nonno era del 1884. A quel tempo fare il mastro-muratore significava inventare pure i meccanismi per costruire la casa, come faceva Leonardo Da Vinci».
Quindi da dove arriva il suo amore per la musica?
«In casa c'era una certa cultura, non accademica. Mio papà dipingeva, scriveva poesie e suonava la chitarra. Mia mamma veniva da una famiglia di agricoltori; desiderava conoscere un mastro-muratore perché era come passare di livello».
Da lì, la strada per il cinema sembra lunga. Su cosa sta lavorando ora?
«A un concerto in cui sto ripensando la mia musica live che porterò in giro l'anno prossimo, e sto ultimando le musiche di due serie, una per Netflix e una per Sky».
Stando alle biografie, lei sul lavoro non si risparmia, forse c'è un desiderio di riscatto?
«Quando nasci in un posto dove non c'è molto, questo diventa una spinta a darti da fare, invece di lamentarti, perché hai fame di creare; l'assenza di offerta può essere vissuto come un input pazzesco. Così succedeva al mio paese, dove spesso toccava inventarsi qualcosa».
Grinta e inventiva dove l'hanno spinta?
«Per esempio, da giovane, a conoscere Franco Battiato; tra l'altro non ero suo fan. Allora ascoltavo i Beatles, Baglioni e gli Intillimani. Comunque Franco è stato un altro imprinting, un fratello maggiore».
Come è successo?
«Per conoscerlo mi sono inventato una tesi di laurea sul rapporto tra musica colta e pop. E così l'ho cercato, avrei fatto prima a incontrare il Papa. Un giorno, per caso, me lo ritrovo davanti in un negozio di strumenti musicali a Catania. Però...»
Però che cosa...
«Però, dice il filosofo Schopenhauer, i tuoi desideri sono il tuo destino. Battiato mi ha dato un appuntamento per l'intervista, che è durata tre giorni».
Poi?
«Con lui è nato un rapporto di amicizia durato 31 anni. Nella mia libreria ancora oggi ci sono volumi che per metà abbiamo letto insieme, a distanza, parlandoci al telefono; c'è stato uno scambio su una certa dimensione spirituale».
L'amore per la propria terra, la musica, la spiritualità: ma gli affetti, la famiglia e l'amore?
«Sono fidanzato con una ragazza del mio paese, Maria Cristina, che fa il veterinario, con la musica non c'entra. Visto il mio lavoro a un certo punto ho cominciato a percepire fame di altro, anche negli affetti. Il mio migliore amico, Pino, insegna Fisica in Sicilia; molti miei amici al Celio, il mio quartiere a Roma, si occupano di altro».
Parlando della sua regione, per certi versi complicata...
«Proprio perché complicata è stupenda. Per come la vivo io, la Sicilia è sempre stata ricchezza. Se io parlo siciliano, parlo cinque o sei lingue senza saperlo; dall'arabo al francese passando dal greco; lasciti di contaminazioni e invasioni. Lo stesso a tavola, mangio culture differenti, dall'arancino allo zafferano, alla caponatina di origine araba. Una terra che ha visto esperimenti di accoglienza sociale e culturale stupendi come quelli di Federico II».
Una terra religiosa: che rapporto ha con la fede?
«Mi definisco cristiano, per seguire la via della felicità indicata da Gesù. Ho un certo interesse per le cose dello spirito, ho composto una messa, Epiklesis. In Sicilia c'è la grande tradizione delle feste religiose, ma sono più attratto dalla mistica e dalla messa in pratica, anche se fare una processione nel silenzio può diventare un atto meditativo».
Cioè?
«Per me la religiosità è un modo di essere, nella quotidianità. Una certa pratica religiosa, come andare in chiesa e pregare, è d'aiuto a orientare la persona. Ma la vera religiosità si esprime nei comportamenti quotidiani, senza farne una presa di posizione ideologica».
Le sue origini entrano nel suo lavoro?
«Non possono non esserci, il mio modo di essere e quindi di fare musica è impregnato di ciò che sono e quindi anche dalle mie origini. Certe colonne sonore sono arrivate per caso. Ma nella casualità c'è anche una motivazione, non è un caso cieco ma un caso che segue delle regole non semplici da individuare».
Proviamo...
«Dentro di me c'è grande consapevolezza di ciò che accade in Sicilia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano siciliani. Ci sono più Sicilie nello stesso luogo, a volte opposte. E io vivo con molta attenzione questo genere di problematiche, ma non vuol dire che faccio musica necessariamente legata a questo».
Però l'isola si fa sentire, non a caso lei ha scritto musiche per la serie de «La Piovra».
«Il regista Giacomo Battiato, che non c'entra con Franco, doveva girare la Piovra 8. Invece di chiamare Ennio Morricone, che avendo scritto le precedenti stagioni era il naturale candidato, dopo aver sentito cose che avevo composto, ha scommesso su di me; avevo 26 anni, con zero esperienze in questo campo».
Risultato?
«La musica di Morricone, bellissima, descriveva la forza negativa della mafia. Io, invece, mi sono concentrato soprattutto sul dolore di chi percepisce; ciò fa capire il mio diverso approccio, una risposta diversa al medesimo tema».
Il magico mondo delle pellicola, gli incontri coi registi.
«Ogni regista è un'avventura nuova. Devo molto al primo, Giacomo appunto, con cui ho imparato tanto, e a Muccino. Siamo stati e siamo fratelli di scoperte».
Personaggi e storie l'hanno colpita, vogliamo fare qualche esempio?
«Ricordo La piazza delle cinque lune (film ispirato al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro, ndr), con il regista Renzo Martinelli. Per capire e scrivere la musica, ho avuto modo di vedere dei documenti che lui aveva raccolto, alcuni materiali erano stati top secret. La cosa impressionante, ho realizzato, è che non tutto quello che vedi è esattamente quello che vedi».
Lavoro e misteri a parte, quali altre persone hanno contato o contano per lei?
«Mia madre direi. Tra poco compirà 90 anni, ha una mentalità molto aperta ed è una scoperta continua, perché sa essere semplice ma al tempo stesso profonda. Con le persone ha la capacità di essere diretta. Dice le cose che deve dire, ma con affetto e senza filtri, cosa al giorno d'oggi molto rara».
Giriamo lo spartito: una fotografia di lei, lontano dalla famiglia, dal lavoro, dagli obblighi della vita...
«Tra i miei interessi c'è la lettura, per esempio i libri sugli argomenti che accomunavano me e Battiato, filosofie e spiritualità. Sono molto curioso su come, nelle diverse culture del mondo, venga tradotto un concetto molto simile».
Può spiegare di più?
«Mi interessano i diversi approcci allo spirito, mi piace trovare le analogie dentro le varie ricerche spirituali, come per esempio buddhismo, taoismo, cristianesimo e Islam. Spesso purtroppo ci si sofferma sulle differenze e questo provoca disastri, in realtà la sostanza vera di tutte le ricerche spirituali ha un nocciolo fondamentale che è sempre identico, sii felice amando».
Autori preferiti?
«In questo periodo mi sta appassionando il teologo Vito Mancuso. Con lui ho anche allacciato un'amicizia telefonica. Mi sento in sintonia con ciò che scrive e lo considero come un gemello che non conoscevo. Ho fatto incetta delle sue pubblicazioni, che sto divorando».
Oltre alla lettura?
«Mi piace nuotare e cucinare. Adoro fare i primi, spesso ispirati alla Sicilia e so preparare un buonissimo risotto alla milanese. Compro manuali di cucina e da buon siciliano apprezzo la tavola e l'ospitalità».
Già, l'amicizia: come la vive?
«Mi piace molto accogliere le persone. La mia casa è aperta a tutti. Da me funziona così: io ti do la chiave e tu fai quello che vuoi. Prima del Covid, c'è stato un anno in cui non ho mai avuto la casa senza almeno una persona ospite. A volte ne partiva uno e, contemporaneamente, ne arrivava un altro».
La grande amica, però, è la musica, no? Anche se qualcuno ancora oggi magari pensa che scrivere per il cinema sia un'arte a metà, di serie B.
«Non esiste arte di serie A e arte di serie B, esiste arte ispirata e arte che non lo è. Quindi non dipende da una commissione. La Cappella Sistina come opera d'arte vale meno perché concepita in seguito a una ordinazione e dedicata alla religione? Direi di no. E questo vale pure per la musica. Che quindi non ha la M maiuscola solo quando è di ricerca, come si dice pura».
Morricone docet...
«Esatto, ma non solo lui. Cambiata la percezione, il pubblico si è anche accorto che esiste un vero e proprio mestiere in questo senso. Il tema della purezza nell'arte, mi fa ricordare una diatriba a cui ho assistito all'università».
Chi erano gli «sfidanti»?
«I professori di Semiotica ed Estetica. Uno di loro era Umberto Eco. La commissione d'opera ti può immettere energia e non indebolisce per forza la creazione e la capacità di comunicare un'idea ispirata, valida. Per dirne una, Bach è stato al servizio della Chiesa tutta la vita e ha scritto grandissimi capolavori».
A proposito del grande Ennio: vi conoscevate?
Eravamo amici. Spesso sia io sia lui abbiamo registrato al Forum Music Village di Roma, il tempio della colonna sonora italiana. Uno studio dove è nata la maggior parte delle sue colonne, ma anche di Luis Bacalov e Armando Trovajoli. Ai tempi, Ennio mi nominò più volte, tra i giovani di valore da seguire. Lui era molto affettuoso e alla mano».
Verso il gran finale: la politica.
«Naturalmente seguo. Credo che la politica, in generale, in questo momento stia mancando di alcune cose: la prima è l'interesse per la Polis. Ci deve essere un'attenzione al debole, all'uguaglianza e all'accoglienza. Non si è felici da soli, ma insieme e questo vale per i singoli ma anche per le società. Tra i politici del passato mi piaceva Giorgio La Pira. Il dialogo, la pace tra i popoli, l'ecumenismo, la carità e il rispetto della dignità erano le caratteristiche del suo pensiero».
Il colpo di scena.
«Ho
collaborato anche con Carmen Consoli. Lei, pensando che l'arrangiatore che avevano chiamato fosse un signore magari attempato, vedendomi per la prima volta esclamò giocando col mio cognome: Ah! C'è Buonvino in giovane botte».
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