La sindrome di Montenero

A volte ritornano, quasi mai cambiano. Sulla Stampa di ieri è ricomparso l'architetto moralizzatore Luca Beltrami Gadola, principale sponsor del mensile Società civile quando nei primi anni Novanta era il tempio politicamente corretto dei Nando Dalla Chiesa, Armando Spataro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Ilda Boccassini, Gianni Barbacetto e ogni tanto persino dell'intrufolone Tonino Di Pietro.
Sul mensile del Circolo, nel luglio 1992, Beltrami Gadola scrisse l'articolo «Se io fossi l'assessore» dove spiccava questo passaggio: «Quante volte, insieme a noi al tavolo, era seduto qualcuno che aveva già intascato il prezzo della vendita della sua coscienza...». Di Pietro lo inquisì giusto in quei giorni, e il moralizzatore ne uscì rovinato. Poi fu prosciolto fuori tempo massimo, ma ancora non l'ha capita: «Stimo Di Pietro, io fui interrogato a lungo da lui, era molto duro, ma sapeva scagionare chi non c'entrava».


Bene: dove vuole che glielo mandiamo l'elenco degli innocenti che Di Pietro non voleva scagionare manco per niente? Peggio di lui nello stesso periodo fece solo l'altro moralizzatore Antonio Ballarin, cugino di Gherardo Colombo, pregiato articolista già autore di un pamphlet sulla corruzione: finì inquisito da Di Pietro dopo un articolo del sottoscritto.
Rispetto a Beltrami Gadola, però, da allora, un pregio l'ha denotato: è rimasto zitto.

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