La sinistra inaugura la politica estera arcobaleno

Roberto Scafuri

da Roma

La parola chiave è «discontinuità». Segnali chiari di cambiamento nella politica estera che si riflettano a poco a poco anche nella gestione interna del Paese, e che contribuiscano a un mutamento generale di clima. Il problema allora non è soltanto il ritiro delle truppe dall’Irak, i suoi tempi e i suoi modi. È lo stesso rapporto con la pace e le guerre nel mondo, il graduale riposizionamento dell’Italia, la modifica del suo ruolo internazionale. In Europa ciò significa ripartire dall’asse franco-tedesco (in particolare dalla Germania, per ora) e dalla volontà di rilanciare l’Unione persino negando la crisi, come ha fatto ieri il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, al vertice di Klosterneuburg (Vienna). «Non si può parlare di crisi, ma serve un rilancio» l’equazione dalemiana, basata sul fatto che «l’integrazione europea è ormai irreversibile» e che della costituzione bocciata dal referendum francese «va recuperata la maggior parte possibile».
Nuovo protagonismo europeo che certo verrà seguito con preoccupata attenzione Oltreoceano. La scacchiera mediorientale è già molto complicata e gli Stati Uniti temono qualsiasi mutamento di pesi e contrappesi, in un equilibrio già così precario. D’Alema ieri non ha mancato di ricordare che «Hamas non risponde ai sentimenti prevalenti del popolo palestinese» e che, facendo mancare aiuti all’Anp e al presidente Abu Mazen, si rischia «il collasso umanitario nei Territori». Ed è chiaro che il governo Prodi cercando di risvegliare la Ue, cerca anche un’ancora di salvataggio per «riqualificare in senso civile» la missione in Irak. Prudenze che hanno portato il vicecoordinatore di Forza Italia, Fabrizio Cicchitto, a ironizzare sullo «Zapaterismo al rallentatore» di Prodi e D’Alema. «Nella sostanza - è il parere di Cicchitto - sta però prevalendo la posizione dell’estrema sinistra».
Se questo è il quadro, si può comprendere anche l’imbarazzo che negli ambiti pacifisti si mostra nei confronti della parata del 2 giugno. Una parata in versione ridotta, forse oggetto di contestazioni annunciate da parte di sigle pacifiste, alla quale però parteciperà senza incertezze il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Qualche sgangherato richiamo a «non partecipare» non ha scalfito la determinazione bertinottiana a mantenere gli impegni assunti come «terza carica dello Stato». Pur ritenendo «legittime» le posizioni pacifiste, Bertinotti ha spiegato ai suoi che il presidente della Camera non può sottrarsi alle sue responsabilità istituzionali, quindi verso l’intero Paese e le sue Forze armate. Nei giorni scorsi Bertinotti ha detto che ai Fori Imperiali andrà «con una divisa di pace» e, per dare un senso concreto alla formulazione forse un po’ astratta, ha invitato per stamane a Montecitorio l’inventore di Emergency, Gino Strada, il padre comboniano Alex Zanotelli, don Luigi Ciotti (gruppo Abele) e don Tonino Dell’Oglio (Pax Christi). Ovvero il nucleo d’eccellenza del movimento pacifista, primi firmatari dell’appello per il ritiro delle truppe italiane dall’Irak e per la fine della guerra.
Con questo segnale Bertinotti ha in animo di non far mancare, alla vigilia della parata, il sostegno al pacifismo e contro ogni forma di violenza. Monito rilanciato ieri anche dal leader della Cgil, Guglielmo Epifani, sotto forma di invito al governo «a stare lontano dalle guerre e a operare sempre per favorire la pace, a stare lontano da dove si fa violenza e dove i diritti delle persone sono cancellati...». Chissà se basterà ai partecipanti alla contromanifestazione del 2 giugno, che avrà in prima linea deputati e senatori di Prc, da Francesco Caruso a Giovanni Russo Spena.

Se l’ingenuità del «disobbediente» Caruso auspicava ancor’ieri una «diserzione di Bertinotti al lugubre protocollo», l’esperienza induceva Russo Spena al rilancio: «Bertinotti deve stare là dove impone il suo ruolo, la manifestazione dimostrerà che i movimenti sanno stare al governo e, se saremo fisicamente separati, saremo uniti nello stesso spirito».

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