La sinistra al potere diventa nemica dell’Europa

Pietro Balducci

da Milano

«Il governo deve rispettare la tabella di marcia indicata dall’Unione europea». Schifani? Tremonti? Nossignori. Firmato Enrico Letta, l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio che il 29 giugno 2005, data della dichiarazione, era responsabile economico della Margherita. La moda dell’«europeismo di comodo» è in gran spolvero nella sinistra italiana. Dai Ds alla Margherita, dai Verdi a Rifondazione, tutti i partiti che sostengono oggi Prodi hanno suonato negli anni passati la grancassa della propaganda per accusare il governo Berlusconi di «antieuropeismo». Sostenevano che l’Italia era diventata la pecora nera dell’Unione, criticavano l’allergia di Palazzo Chigi nei confronti dei vincoli della politica economica europea, esecravano la mancanza di sensibilità nei confronti dei continui richiami di Joaquin Almunia, commissario agli affari economici dell’Unione europea. E oggi? «Passata la festa, gabbato lo santo», dice un vecchio adagio popolare. Arrivata a Palazzo Chigi, la sinistra non vede più Almunia come un prezioso alleato per la campagna elettorale, ma un fastidioso scocciatore che rischia di rompere le uova della Finanziaria. Enrico Letta è solo un esempio, ma è in buona e abbondante compagnia.
Uno di quelli che vorrebbero oggi una Finanziaria ammorbidita, il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, il 12 aprile 2005, dalla poltroncina di presidente dei Verdi, diceva: «Le dichiarazioni del commissario Ue Almunia sono a conferma del dissesto economico determinato dal governo Berlusconi». Sono bastati dodici mesi, e una poltrona da ministro, per fargli crescere «orecchie da mercante» verso le dichiarazioni di Almunia. E che dire di Clemente Mastella, ministro della Giustizia, un altro molto sensibile alla possibilità di non fare stringere troppo la cinghia ai suoi elettori, che, sempre il 12 aprile dell’anno scorso, commentando la notizia che Almunia avrebbe aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per lo sforamento dei conti pubblici, ebbe a dire: «Quattro anni di governo Berlusconi, caratterizzati da una politica di roboanti annunci che tutto va bene, hanno portato l’Italia sull’orlo del baratro». Tanto era comoda la sponda di Bruxelles, quando Mastella faceva opposizione da segretario dell’Udeur, altrettanto è scomoda oggi, sotto il peso della responsabilità di governo.
A dolersi dei richiami di Bruxelles era anche Vincenzo Visco, attuale viceministro dell’Economia, ma un anno fa semplice membro della commissione Bilancio della Camera. «Le notizie giunte da Bruxelles suscitano amarezza e grave preoccupazione» dichiarava Visco sempre il 12 aprile 2005. «Esse confermano ancora una volta la fondatezza degli allarmi ripetutamente lanciati sull’andamento dei conti pubblici». Peccato che Visco abbia smesso di amareggiarsi proprio adesso.

Non si duole più nemmeno Pierluigi Bersani, ministro dello Sviluppo economico, che il 22 dicembre 2004, da responsabile dell’economia dei Ds, dettava alle agenzie: «Le disinvolte teorie di Berlusconi sono nocive per l’Italia e inaccettabili per l’Europa. Non ci vuole molto a capire che aria tira a Bruxelles». Già, peccato che Bersani faccia oggi finta di non sentire che aria tira a Bruxelles.

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