La sinistra va al voto senza falce e martello

Diliberto è «dispiaciuto». Bertinotti, il candidato premier: «Ciascuno porterà quel simbolo nel cuore»

da Roma

È un po’ come il governo uscente: in teoria tutti dentro, in pratica tutti fuori. La Sinistra Arcobaleno dà appuntamento al bar dietro Montecitorio. Fondino di rosso antico comunista, due parti di Rifondazione ghiacciata, una foglia di fico Verde, una spruzzatina post-diessina: il cocktail è moderatamente alcolico, quasi dietetico, di bevuta facile adatta a giovani à la page e attempati matusa che contano di restare in sella.
Se gli interlocutori principali, come dice il candidato premier Bertinotti, «devono essere gli esclusi», il primo atto è un successone, perché il bar Fandango è «luogo affascinante ma molto disagevole» (ipse dixit) e la maggior parte degli intervenuti neppure riesce a entrare nella sala dove viene svelato finalmente il simbolo nuovo, cioé risaputo. Addio falce e martello, l’iride multicolore sottolinea una scritta da manuale Cencelli con «la Sinistra» in grande e, sotto, «l’Arcobaleno» in caratteri piccini che bastano ad accontentare Pecoraro Scanio. Il lavoro dello staff che avrebbe dovuto trovare qualcosa di più accattivante si è arenato di fronte alle note resistenze incrociate. Ma è già un buon risultato non aver seguito il consiglio di Diliberto, che voleva i quattro cerchietti dei quattro partiti fondatori: roba da comitato olimpico sovietico. Il comunista si dichiara «dispiaciuto» e continua a sognare che «falce e martello continueranno a esistere». «Sì, ciascuno se li porterà con sé», l’asseconda Bertinotti ricordando che persino Togliatti e Nenni, «quando il Pci era il Pci e i socialisti provavano quasi fastidio per la socialdemocrazia, si presentarono con il volto di Garibaldi e la stella».
Ma quest’unione ha ben poco di Fronte popolare, però. «Senza di noi sparisce la sinistra», avverte Bertinotti. «La differenza con il Pd è che noi siamo di sinistra e loro no, sono di centro», rimarca Diliberto. Come chiarirà il giovane capogruppo Gennaro Migliore, «il nostro sarà un voto asimmetrico rispetto a quello un po’ troppo simile che può essere dato al Pd o al Pdl». Per essere del tutto vero, manca al progetto un po’ della novità e dello slancio che prometteva agli esordi, non essendo riuscito ad attrarre i socialisti né a superare l’impressione di una «Grande Rifondazione» (o Rifondazione pre-scissione) con un po’ di verdi a bordo. Non è neppure chiaro se il progetto si arenerà di fronte a un risultato elettorale che non fosse brillante. Il gruppo parlamentare unico dovrebbe essere sicuro, annuncia Pecoraro Scanio. Ma Diliberto parla ancora del simbolo e dell’unione accompagnandola con l’aggettivo «elettorale», e lo stesso Bertinotti si limita a non escludere l’unificazione post voto: «Lo dovranno decidere i partiti, io posso solo dire che l’obiettivo di una sinistra unita, plurale, bisessuata e colorata è giusto e necessario». Si vuole «trascendere», ma per scongiurare l’«eccessiva personalizzazione» Bertinotti non sarà capolista ovunque. Si aspira alle due cifre elettorali, ma i sondaggi parlano ancora di una forbice tra il 6 e l’8 per cento (quanto il Prc nel ’96). Risultato che non scongiurerebbe il dimezzamento dei seggi in Parlamento: una cinquantina alla Camera e poco più di dieci in Senato, con metà dei posti riservati a Prc e l’altra metà da spartirsi in tre.


Far sopravvivere la Sinistra sarà comunque - dice Bertinotti - un’«impresa difficile, ma divertente e anche incasinata: meglio però fare cose creative che rifugiarsi nei luoghi deputati alla politica. Tutti i luoghi hanno una vocazione politica e il bar è uno di quelli... ». Basta che in futuro non ci si incontri poi in una cabina telefonica.

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