Le sinistre litanie napoletane

Speravamo che dopo l’uccisione a Napoli d’un rapinatore sedicenne in una sparatoria con i carabinieri ci venisse risparmiata, a sinistra, la frustra e ipocrita litania dello Stato forcaiolo che sparge sangue innocente. Lo speravamo non già perché la nostra pena per la fine d’un ragazzino intruppato nella delinquenza sia minore di quella di tanti cuori nobili (o che tali si dichiarano con virtuosa ostentazione). Riteniamo che la nostra pena sia forse maggiore, e di sicuro più sincera. Ma la strumentalizzazione politico-giornalistica d’una tragedia che appartiene purtroppo alla realtà quotidiana della capitale del sud, il prenderne pretesto per denunciare chissà quali campagne d’odio e chissà quali bieche trame della reazione in agguato, è veramente insopportabile.
Su "Liberazione", organo di Rifondazione comunista, il direttore Piero Sansonetti ha risfoderato i più vieti arnesi polemici, intrecciando quest’ultima vicenda a quella dell’ultrà catanese che era stato sospettato d’avere causato la morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, e che comunque era pesantemente coinvolto nelle aggressioni e nei tumulti scatenati dalla tifoseria selvaggia. Il sedicenne di Napoli è stato, secondo Liberazione, «giustiziato», il diciassettenne di Catania avrà la vita rovinata dalla detenzione che sta subendo. Il «giustiziato» impugnava una pistola, forse giocattolo e forse no, le cui caratteristiche dovevano essere intuite dal carabiniere che ha fatto fuoco durante gli attimi drammatici d’un inseguimento.
L’ultrà catanese ha partecipato a violenze per le quali, in Paesi di grande civiltà giuridica ma non di lassismo buonista, si è subito processati e condannati a brevi pene detentive che vengono subito scontate, senza l’attesa della Cassazione. Sansonetti osa scrivere che per l’adolescente di Napoli è stata «decretata, in modo spiccio, la pena di morte». Chi ha decretato? Il giovane carabiniere? O più genericamente, sembra di capire, questa società scellerata che vuol sterminare i proletari? Inutile chiedersi, a questo punto, dove viva Sansonetti e se si renda o no conto che le forze dell’ordine italiane sono tra le più prudenti del mondo: perché sanno che da loro si esige contemporaneamente la massima efficienza nel combattere la criminalità e la rinuncia a usare le armi di cui sono dotate. Perché usandole possono sbagliare, e «decretare la pena di morte».
Nel 2007 sono state 54 a Napoli le vittime di crimini, tre fatti fuori nei primi cinque giorni di giugno, un pregiudicato ammazzato ieri nei quartieri spagnoli. Ma Sansonetti, tra una comparsata televisiva e la stesura d’un veemente editoriale, non ha tempo per rendersi conto della situazione di Napoli. Lui vuole, in quell’inferno, carabinieri occhio di lince che capiscano da decine di metri di distanza il calibro, la marca, la pericolosità d’una pistola impugnata da un malvivente, e che siano in grado d’accertare, in simili condizioni, l’età del malvivente stesso. Si può ancora osservare che democratici di sicura fede suggeriscono d’abbassare l’età in cui un adolescente può essere sottoposto a processo perché la delinquenza minorile è in vertiginoso aumento, e non meno spietata della delinquenza adulta. Queste sono considerazioni di semplice buonsenso, diremmo banali.

Ma il nostro è il Paese dove Carlo Giuliani, colpito a morte da un carabiniere mentre si scagliava, impugnando un pesante estintore, contro la camionetta dell’Arma circondata da energumeni, è diventato per i Rifondatori comunisti un eroe, e la madre una senatrice della Repubblica. A lei e al suo dolore tutto il nostro rispetto. Nessun rispetto invece a chi ne ha fatto uno strumento di polemica settaria.

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