Nel 1992 il politologo statunitense Francis Fukuyama pubblicò un libro che destò grande scalpore: La fine della storia e lultimo uomo. Vi sosteneva che la fine del comunismo avrebbe decretato ovunque la vittoria irreversibile della liberaldemocrazia: con essa lumanità era giunta alla sua ultima fase storica. Fukuyama peccava di ottimismo perché, se era vero che la sconfitta del comunismo risultava irreversibile, non per questo la liberaldemocrazia era destinata a imporsi in tutto il mondo (troppa grazia!).
Negli stessi anni, dal 90 al 94, lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa scriveva, su vari quotidiani, giornali e riviste, articoli che riflettevano molte idee analoghe, prive però di ogni ottimismo provvidenzialistico di stampo hegeliano: la fine del comunismo era irreversibile, ma laffermazione della liberaldemocrazia sarebbe stata ben lungi dallavere un esito scontato. Anzi, proprio la sua vittoria avrebbe provocato in varie parti del mondo una serie di rigetti tra loro divergenti, accomunati tuttavia dallodio contro lindividualismo, il mercato e lavvento della «società aperta». Ora quegli articoli sono raccolti in Sfide alla libertà (Scheiwiller, pagg. 383, euro 18).
Sulla traccia delle indicazioni teoriche dei grandi pensatori liberali - Popper, Hayek e Berlin - Llosa indaga e anticipa i diversi aspetti di quel fenomeno che a distanza di qualche anno lintero pianeta avrebbe conosciuto con il nome di «globalizzazione». Le ultime persistenze del comunismo (il regime cubano e i suoi Gulag in versione tropicale) e i suoi inevitabili cedimenti in direzione capitalistica (la Cina di Deng Xiaoping e la Cecoslovacchia di Havel), i contraccolpi del fondamentalismo musulmano come in Algeria, in Iran e nellarea afghano-pachistana. La complessa realtà dellAmerica Latina e il carattere fallimentare della guerriglia di sinistra e del golpismo di destra, tendenti entrambi a eludere il problema democratico. Comè noto, negli anni 80 quasi tutti i Paesi latino-americani hanno raggiunto la democrazia dissolvendo ogni ventata rivoluzionaria e golpistica. Acute annotazioni riguardano poi alcuni luoghi comuni del «politicamente corretto» che da vari anni affliggono lOccidente, a cominciare dagli Stati Uniti, come a esempio le banalità del relativismo culturale e del pacifismo a senso unico. Non mancano le critiche alla cosiddetta «French Theory», ovvero le filosofie del «negativo» e del decostruzionismo, compiaciute del loro nichilismo, e di fatto sostanzialmente animate da un irriducibile sentimento illiberale.
Le analisi di Vargas Llosa mettono in luce un problema decisivo: la constatazione che, piaccia o no, in una competizione libera e pacifica il modello occidentale è destinato inevitabilmente a imporsi. Una supremazia che non si può misurare con le spanne di qualche decennio, ma si attuerà comunque.
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