Più contatti umani per il disagio giovanile

Comprendo bene che per i genitori non sia facile approcciarsi ad un figlio che se ne sta chiuso in se stesso, sigillato ermeticamente, indisponibile al confronto

Più contatti umani per il disagio giovanile
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Gentile Direttore Feltri,
a scriverle è una mamma preoccupata, in cerca di un consiglio. Il mio ultimogenito, Marco, 16 anni, non vuole più uscire di casa. Il suo rendimento scolastico è peggiorato rapidamente nelle ultime settimane, ha rinunciato alle sue passioni, il basket e la batteria, non vede più gli amici e trascorre molto tempo da solo. Ho provato a parlargli, ma si rifiuta di comunicare. Anche mio marito ha tentato di capire cosa gli succeda. Marco risponde a monosillabi, dice soltanto che va tutto bene, che semplicemente non ha voglia di fare niente in questo periodo. Ci chiede di lasciarlo in pace. Mi sembra molto giù d'umore ed è per questo che gli abbiamo fissato un colloquio con uno psicologo, però si è rifiutato di andarci. Ci proveremo ancora.
La stimo molto e le sono persino affezionata. Domando a lei quel suggerimento che avrei domandato al mio babbo se fosse stato ancora con noi.
Beatrice Grasso

Cara Beatrice,
non sono uno specialista, quindi non mi azzardo a fare diagnosi, ma penso che tuo figlio possa o essere un innamorato deluso, magari alle prese con la sua prima cotta, si chiama così, da cui siamo passati tutti, o soffrire di una forma di depressione. Ecco perché, a mio giudizio, fai bene a rivolgerti ad un professionista. Questa problematica pare purtroppo essere molto diffusa tra i giovanissimi. Mi attengo ai dati, peraltro pubblicati di recente dall'Unicef: in Europa sarebbero 11,2 milioni i ragazzi sotto i 19 anni a soffrire di disturbi dell'umore e mentali. E sono in particolare i maschi a patire questo male di vivere. Ansia, attacchi di panico o di tristezza, insonnia, apatia. Si stima che in Italia oltre 700mila adolescenti siano afflitti da questo tipo di problematiche e facciano i conti con un forte malessere esistenziale, qualcosa di più di una insoddisfazione passeggera.

Comprendo bene che per i genitori non sia facile approcciarsi ad un figlio che se ne sta chiuso in se stesso, sigillato ermeticamente, indisponibile al confronto. Non lo fa per mancanza di amore verso di voi, ma soltanto perché sta attraversando una fase probabilmente difficile della sua vita. Crescere non è mai facile. Crescere è un percorso duro, violento, pieno di strappi, di cadute, di ferite, persino di traumi, di delusioni che aprono gli occhi. Non puoi preservare Marco da tutto ciò. Se fosse possibile e lo facessi, il risultato, credimi, non sarebbe positivo. Ne bloccheresti l'evoluzione. Con il giusto supporto professionale, questa fase passerà e Marco avrà la sua prima rinascita. Quindi, stai tranquilla.

Esperti, sociologi, giornalisti, politici, medici, psicologi si stanno chiedendo perché i minori siano sempre più infelici. Il loro livello di soddisfazione diminuisce e cresce il numero di coloro che si ammalano di depressione. Nell'Unione Europea il suicidio è la seconda causa di morte tra i ragazzini di 15-19 anni, subito dopo gli incidenti stradali. Una evidenza che fa venire i brividi.

C'è chi ritiene che questo fenomeno, ovvero quello del disagio mentale giovanile, sia una conseguenza diretta del cosiddetto lockdown, ossia dell'isolamento sociale di cui anche i teenager hanno fatto esperienza durante la pandemia. A mio avviso, si tratta di una prospettiva ridotta, la quale non considera che lo stile di vita odierno, sebbene sembri offrire maggiori opportunità di incontro, isola l'individuo. L'uso e l'abuso dei comuni strumenti messi a disposizione dal repentino sviluppo tecnologico, come gli smartphone, quindi i social network, le app, non ha fatto altro che indurci a distaccarci fisicamente dal prossimo e anche dalla realtà, rifugiandoci in casa, nella cameretta, dove, in esclusiva compagnia del telefonino, osserviamo dall'esterno un mondo che sempre meno corrisponde a quello reale, dove le immagini sono alterate, modificate, le persone si incontrano virtualmente e non si conoscono faccia a faccia, le interazioni sono sempre più veloci e superficiali.

Cosa ci manca? Il contatto umano. Io credo che sia l'assenza di questo elemento a rendere non soltanto i giovani ma anche gli adulti sempre più sconsolati e smarriti.

La soluzione, dunque, non può

che risiedere nel recupero della dimensione umana, quella fatta di contatto fisico, sorrisi (non simboli e faccine), sguardi, abbracci, lentezza, profondità, semplici cose andate perse.

Grazie, cara Beatrice, per la fiducia.

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