Soderbergh: "Il mio Guevara, più personaggio che politico"

Benicio Del Toro è la stella del film. Ma il regista si lamenta: "Non so ancora chi lo distribuirà. Tanto chi odia Ernesto non andrà a vederlo"

Soderbergh: "Il mio Guevara, più  personaggio che   politico"

Cannes - «Patria o muerte!». Così un internazionalista come Ernesto Che Guevara chiudeva il discorso del 1964 dalla tribuna dell'assemblea generale delle Nazioni unite. Certe contraddizioni sono fra i momenti più suggestivi di un’esperienza politica. Chi non ricorda quella voce, quell’uniforme verde-oliva resa grigia dalla tv in bianco e nero di allora, vedrà la memorabile scena - paragonabile ai successivi discorsi sempre all'Onu di Yasser Arafat e Doménique de Villepin - in Che di Steven Soderbergh, prodotto e interpretato da Benicio Del Toro (premi Oscar per Traffic dello stesso Soderbergh, film che vinse l’Orso d'oro a Berlino), presentato ieri in concorso al Festival di Cannes.

Guevara ebbe poi la muerte e tre patrie: la natia Argentina, la Cuba della guerriglia, più che quella del castrismo, da cui s’allontanò per il Congo e per la Bolivia, onde suscitare «due, tre, molti Vietnam». E il suo mito ha suscitato due, tre molti film: da El Che Guevara, scritto da Adriano Bolzoni (poi autore della prima Piovra), diretto Paolo Heusch e interpretato Francisco Rabal; a Che! diretto da Richard Fleischer e interpretato da Omar Sharif; e ai Diari della motocicletta di Walter Salles, con Gael García Bernal, presentato proprio al Festival di Cannes del 2004. Ma nessuno di loro aveva l’estensione di oltre quattro ore e soprattutto l'ambizione di raccontare quasi per intero la militanza di Guevara. Soderbergh ha scelto di farlo con rigore storico, senza alcuna delle enfasi tipiche del cinema epico americano, fino alla spoglia descrizione dell’agonia e alla morte, mostrata con un’inquadratura in soggettiva: lo spettatore vede ciò che Guevara ha visto come ultima cosa...

L’importanza del film è oggettiva, più che estetica. Come cittadino degli Stati Uniti, il suo ritratto di Guevara è una riconciliazione con un nemico vinto e ucciso paragonabile a Lettere da Iwo Jima di Clint Eastwood nei confronti di un altro, ben più rilevante nemico vinto, il Giappone. Anche questo film ebbe l’eco di un grosso festival, quello di Berlino; anche questo film, come Che, è distribuito da una delle istituzioni del cinema hollywoodiano, la Warner Bros.

Signor Soderbergh, il suo film è sobrio, non retorico e girato in castigliano.
«Non volevo cedere all'imperialismo della lingua inglese. All'Onu, dove tutti la parlano, Guevara parlò appunto in castigliano».

Questo e la diffidenza politica non l’aiuteranno a distribuirlo negli Stati Uniti.
«In effetti il film non è stato ancora venduto. Se lo sarà vorrei che non fosse doppiato, ma sottotitolato».

Con Sesso, bugie e videotape lei vinse la Palma d'oro. Come si passa da un film come quello a uno come questo?
«La vita del Che è un soggetto perfetto per il cinema ma ci sono anche troppi eventi nei suoi vent’anni di vita adulta».

Così ha omesso il periodo di governo a Cuba e quello di guerriglia in Congo.
«Il film voleva raccontare la Bolivia. Ma, per capirla, occorreva raccontare parte di ciò che era successo prima».

Fra i personaggi, col Che, Fidel Castro e Régis Debray. Che cosa resta della loro politica?
«Per restare alla Bolivia si può osservare che, come voleva il Che, è governata ora da un indio».

Cuba è sempre sotto embargo.
«Perciò abbiamo dovuto girare in Messico».

In quale ordine sono avvenute le riprese?
«All'indietro: prima la fine, perché gli attori dovevano essere molto magri e avere barba e capelli molto lunghi».

Quanti giorni di lavorazione?
«Trentanove per ciascuna delle due parti del film».

Quasi cinque ore di film sono costate...
«... quasi settanta milioni di dollari».

C’è stata ieri una piccola protesta contro il suo film.
«Non sono un politico: nel Che m’interessava il personaggio. Presumo che chi lo detesta non andrà a vedere il film».

La sua

opinione sul Che?
«Le sue idee hanno superato frontiere politiche e barriere culturali. Guevara non aveva bisogno di un film per elogiarlo o demolirlo. Ero io ad avere bisogno di una grande storia da raccontare».

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