SOFFICI Il futuro del passato

Una mostra a Poggio a Caiano documenta il passaggio dalle avanguardie a un personale «ritorno all’ordine»

Dopo avere dipinto nel 1913 una imponente tela al modo futurista (dal titolo eloquente: Compenetrazione di piani plastici. Tarantella dei pederasti) l’autore, Ardengo Soffici, se ne dovette esteticamente pentire, se a un certo punto decise di distruggerla lasciandone intatta soltanto la cornice. E proprio quest’ultimo supporto torna oggi a vestire l’immagine fotografica dell’opera perduta nella mostra allestita in omaggio e in memoria del grande pittore italiano (1879-1964) che fu pioniere dell’avanguardia e in seguito la superò con una sua originale poetica di «ritorno all’ordine» (Scuderie Medicee di Poggio a Caiano).
Vissuto per anni a Parigi nel pieno delle rivoluzioni artistiche, Ardengo Soffici ne trasse prima e meglio di altri il succo espressivo nella intenzione però di non surrogare la «misura italiana»: anzi per meglio potenziarne l’efficacia artistica nel tempo moderno. Si spiega così la radice poetica del suo tanto ricercato e sintetico realismo in cui l’artista volle trincerare una espressione che parlava il linguaggio di Cézanne (ma anche dei nabis, Denis e Bonnard) senza perdere la freschezza di un toscanesimo in cui si rispecchiasse l’esempio di Giotto, Masaccio e Paolo Uccello.
Soffici fu futurista per passione culturale e civile nel periodo sperimentale in cui pure lo furono i migliori ingegni dell’arte e della letteratura italiana del ’900 (da Balla e Carrà, a Papini e Palazzeschi). Ma la differenza estetica (ed etica) era già compresa nell’animo di un artista che non poteva condividere l’enfasi modernista del movimento, l’ansia di fare tabula rasa di tutto il passato dell’arte, anziché rivitalizzarne i valori permanenti. Di tutto ciò parla la persuasiva e avvincente mostra di Poggio a Caiano (luogo toscano per antonomasia, in cui Soffici dimorò una vita, quasi per sottolineare la sua scelta strapaesana) opportunamente curata da Luigi Cavallo, con l’ausilio amorevole di Simonetta Bartolini, Marco Moretti ed altri esperti della vita e dell’opera dell’artista (Giulia Ballerini, Luigi Corsetti, Oretta Nicolini, Mario Richter e Jean Francois Rodriguez), presentando una cinquantina di opere realizzate per lo più durante il fatidico anno 1907, e dirimenti per la definizione chiara di uno stile.
In questo senso, andrebbe sottolineata la particolare qualità della pittura che, dopo avere risciacquato i panni nella Senna (da Puvis de Chavannes a Cézanne e il primo Picasso) puntava diritta ad una umanizzazione dell’ordito plastico, geometrico e cromatico restituendo all’immagine una impronta di tranquilla e classica quotidianità. Simplex sigillum veri: era il segreto stile di Soffici, che l’artista custodì ad onta dei tempi e delle mode, con la arguzia polemica e la battagliera andatura «antimoderna» di cui si valse con il pennello quanto con la formidabile intelligenza critica di scrittore d’arte. E quella pittura di estrema sapienza, tanto da parere ai meno avveduti perfino «ingenua», l’artista perseguì fino dagli anni parigini, come ci dicono anche le sue memorie, dove torna emblematica una frase ricavata da André Gide: «devenir banal c’est devenir le plus humain possible».
E appunto «banale», cioè semplice, schietta e umana, Soffici voleva che fosse (diventasse) la sua arte, giunta al culmine di complessità e finezza espressiva. Di questo denso itinerario spirituale, la mostra di Poggio a Caiano ci fa vedere il risultato in alcuni dipinti di alta qualità come Le fornaci di sopra e La potatura («...avevo ardito di vestire la modernità del mio realismo - scrisse l’artista - ispirandomi alla armonia dei colori usati nel Chiostro di Santa Maria Novella dal mio maestro Paolo Uccello») ma anche nella serie toccante degli «album», disegni e acquarelli di argomento rurale, dove lo sguardo impagina figure e contorni di uno statico panorama ideale nel perenne ed organico fluire della vita.
Alle opere concepite nel 1907 se ne aggiungono poi altre venticinque che costituiranno il primo nucleo di una esposizione permanente sistemata nelle Scuderie medicee di Poggio a Caiano. Accanto alle nature morte e ai consueti paesaggi toscani, il sintetico autoritratto giovanile (1907) e i successivi ritratti della moglie e dei tre figli compongono così una adeguata e penetrante immagine del mondo morale ed artistico de «l’uomo del Poggio»: ed è più che un bene che proprio in quel comune si voglia adesso creare un centro di raccolta, studio, ed esposizione della sua opera.

Con una lezione di forte umanità, la pittura «inattuale» di Ardengo Soffici sfidò le tendenze del suo tempo: ma ancora oggi suggerisce un chiaro modello di comportamento estetico per chi non si risolve ad esaurire i meriti dell’arte nelle oscillazioni del gusto e della moda corrente.
LA MOSTRA
«Soffici 1907-2007: cento anni dal ritorno in Italia, Scuderie Medicee di Poggio a Caiano, fino all'8 luglio. Orario: da mercoledì a domenica e festivi 10-19.

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