Q uella della liberazione di Adriano Sofri, formalizzata ieri, è una non notizia. Notizia vera, intendiamoci. Dopo aver scontato la pena che gli era stata inflitta (22 anni di reclusione per l’uccisione del commissario Luigi Calabresi) Sofri non ha più pendenze con la legge. Ma la notizia vera sottintende una realtà assai diversa, se si pensa a come questo personaggio ha trascorso gli anni che ufficialmente erano di prigionia. Nessun uomo libero è stato più libero di lui nello scrivere, nel dibattere, nell’atteggiarsi a maestro, nel vestire i panni del perseguitato, nell’intervenire sui problemi italiani. E nessun detenuto è stato, tra arresti domiciliari, permessi, cure mediche, meno detenuto di lui.
Di questo, sia chiaro, mi rallegro. Il carcere è sempre motivo di inquietudine, lo è particolarmente quando per tutta una serie di processi viene affacciata e sostenuta la teoria dell’errore giudiziario. Comunque il marchio d’omicida non è stato d’impaccio per Adriano Sofri. Ha collaborato assiduamente a un quotidiano dell’importanza di Repubblica; e la sorte ha voluto che, pagato il suo debito con la legge, se ne sia subito andato all’isola del Giglio, e di là abbia inviato un reportage sul naufragio della Costa Concordia. Un vero scoop in gergo giornalistico. Nell’occasione Sofri s’è dimostrato disposto a scrivere non a colloquiare. Ha congedato i giornalisti che volevano porgli domande con un «Come sto? Sto a modo mio ma non parlo. Magari tornate tra qualche giorno, ma solo per offrirvi un caffè, mi spiace».
Comprensibile la sua riservatezza, ma prevedo che lascerà presto il posto a una ancor più intensa attività pubblicistica. E al riemergere di mai veramente sopiti motivi di polemica. Un colpevole che ha espiato la sua pena non deve essere soggetto a discriminazioni, il passato è passato. Abbiamo visto del resto con quale rapidità e abilità si siano riaffacciati alla ribalta, redenti e contenti, alcuni truci protagonisti degli anni di piombo. Ma la loro situazione presenta una differenza fondamentale in confronto alla situazione di Sofri. Loro sono stati riconosciuti colpevoli - da tutti i mezzi d’informazione indicati come tali - e colpevoli si riconoscono.
Sofri si proclama estraneo al crimine che avrebbe compiuto, secondo la sentenza definitiva di condanna, insieme con Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi, e Salvatore Marino. Le rivendicazioni d’innocenza sono quasi una regola, nell’universo giudiziario. Ma per Adriano Sofri quella rivendicazione è fatta propria da uno schieramento trasversale che include buona parte della sinistra e anche, per citare un nome, Giuliano Ferrara. Per tanti, direi per troppi, il Sofri che si toglie di dosso gli ultimi lacci penali non è un omicida da recuperare alla società: perché proprio la società è colpevole delle sue sofferenze. Fin dal primo momento non c’è stato nessuno più recuperato di lui, sui quotidiani e in televisione. Ha acquisito una invidiabile caratura culturale. Per i suoi estimatori è un povero Fornaretto dei tempi moderni.
L’insistenza e l’arroganza con cui questa tesi è stata ed è declamata mi sembrano eccessive. Lo sembrano soprattutto se vengono da chi grida che le sentenze devono essere rispettate e che la Procura di Milano - cui spettò inizialmente di indagare e incriminare - rappresenta di solito, ma non per Sofri, un insuperabile modello di struttura giudiziaria. Non che siano mancati, in questo groviglio processuale, elementi inquietanti a cominciare dalla tardività della incriminazione, venuta 16 anni dopo l’assassinio del commissario. Negli anni della P 38 i valori umani e morali subirono una sorta di collasso sanguinario, di sicuro il Sofri di oggi non ispira né apprensione né avversione.
Il non aver mai chiesto la grazia - invocata invece da Bompressi e concessa, Pietrostefani ha asilo in Francia - attesta in lui una fierezza e coerenza straordinarie. La cupa stagione del terrorismo è remota, il terrore attuale viene dallo spread. Sarei tentato di augurare a Sofri che si goda questo momento, ma non lo faccio perché è superfluo. Sta già godendo da tempo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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