Soldi, tradimenti e Dna: il caso Procacci è chiuso

Se pensate veramente che la realtà possa superare anche l’immaginazione più sfrenata pensate all’omicidio di Maria Teresa Procacci, la facoltosa vedova 69enne trovata morta, con il cranio fracassato, sulla sua auto parcheggiata in viale Sarca, periferia nord di Milano, il 28 aprile dello scorso anno. Quel giorno pioveva a dirotto e il cadavere della donna, intorno alle 19, venne notato da un passante. Era riverso sui sedili posteriori della vettura; la signora Procacci era seminuda, un braccio sul volto, il cranio sfondato, le braccia coperte di lividi. Per la sua morte l’8 luglio 2009 venne arrestato il fratello, Pasquale Procacci, 65 anni. Che era finito nel mirino degli investigatori della sezione omicidi della squadra mobile quasi subito, ma venne iscritto sul registro degli indagati, accusato di omicidio volontario, «solo» il 2 luglio. Perché questo ritardo?
Innanzitutto è necessario ricordare il movente del delitto. «Economico» si disse da subito: la vedova possedeva decine di appartamenti, gestite da tre società, intestate a lei (erala signora Maria Teresa che amministrava il patrimonio) a suo fratello Pasquale e al figlio di quest’ultimo. Il padre dei due Procacci, infatti, era morto nel 2008. E, secondo i magistrati, Pasquale si era sentito «costretto a uccidere la sorella» per evitare dispersioni del patrimonio, ma soprattutto che la donna «diseredasse il nipote», cioè il figlio del fratello.
Ed è qui che scatta il colpo di scena. Era stato proprio il nipote della morta, il figlio del signor Pasquale, infatti, a finire per primo nel mirino degli investigatori. Che si trattasse di un omicidio per motivi di denaro, visto la posizione economica della donna, era chiaro. Quindi la polizia aveva circoscritto i sospetti tra coloro che più avrebbero potuto beneficiare della morte di Maria Teresa. Nel portaoggetti della sua auto sporca di sangue gli investigatori avevano trovato un guanto di cuoio con dentro due «dita» strappate di un guanto di lattice. Sul lattice la Scientifica rinvenne macchie di sangue appartenenti alla vittima e tracce di sudore. E, una volta risolto il giallo, si disse che proprio da quel sudore era stato ricavato il Dna risultato compatibile con quello di Pasquale Procacci.
Le cose andarono però diversamente. Il primo incrocio tra il Dna delle gocce di sudore venne fatto con quello del Dna del nipote di Maria Teresa. E poiché diede esiti negativi - scagionando completamente il figlio del signor Pasquale dall’accusa di omicidio - il padre non venne sottoposto subito allo stesso esame: se il dna del figlio era incompatibile, era matematico che quello del genitore avrebbe dato lo stesso risultato. Sempre, però, che Pasquale fosse davvero il padre di... suo figlio. È allora, infatti, che accade l’inverosimile. Gli inquirenti decidono, contro ogni logica (visto i risultati ottenuti dall’esame del Dna del figlio di Procacci) di comparare il Dna rinvenuto sull’auto della povera Maria Teresa e quello del fratello Pasquale.

Il risultato non lascia dubbi: è lui l’assassino della sorella. Ma questo significa anche che colui che ha sempre creduto suo figlio, in realtà non lo è. E questo lui, l’assassino di Maria Teresa, non l’aveva mai saputo.

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