Soleri con il suo Arlecchino alla conquista di Istanbul

L’edizione strehleriana della commedia di Goldoni è stata la più applaudita del Festival teatrale turco

Ruggero Rastelli

nostro inviato a Istanbul

Un Goldoni del genere a Istanbul non s’era mai visto, soprattutto recitato in originale: così, quando ieri sera il sipario è calato al Mushin Ertugrul Stage-Harbiye (uno dei teatri più importanti dell’antica Costantinopoli) il pubblico è scattato in piedi, in delirio. Il quindicesimo International Istanbul Theatre Festival ha trovato il suo vincitore. L’Arlecchino del Piccolo Teatro, con Ferruccio Soleri mattatore assoluto, ha conquistato i turchi: come pochi giorni prima i cinesi di Pechino. Pubblico giovane, entusiasta e disinibito: tatuaggi e magliette strane, molte con improbabili nomi di stilisti italiani, ragazze in hijab colorati a fare macchia. Comunità italiana presente, a partire da Massimo Rustico, console generale di fresca nomina, Attilio De Gasperis e Roberta Terrazza (direttore e vice dell’Istituto italiano di cultura), rappresentanti dei grandi gruppi, Eni in testa. Orgogliosi del successo, orgogliosi dell’Italia.
Troppo facile parlare dello spettacolo, l’Arlecchino servitore di due padroni è uno dei testi più rappresentati, cavallo di battaglia del Piccolo: vetrina ideale di quanto sa fare il nostro maggiore teatro. La Scala e il Piccolo, questo è Milano.
Quasi sessant’anni sono passati da quando, luglio del ’47, Giorgio Strehler e Paolo Grassi scelsero il testo goldoniano per aprire ai grandi classici, dopo la grande inaugurazione nell’allora palazzo del Broletto con L’albergo dei poveri di Gorkij. Sessant’anni (cinquantanove, per l’esattezza) di storia del teatro. Al Marmara Pera, quattrostelle a una decina di metri dallo storico Pera Palace di Agata Christie con vista sul Corno d’Oro, sabato sera tutto era pronto per accogliere il gruppo, perfino la guardia al metal detector tentava di darsi un contegno. Tavolone con le card schierate come per una rivista, fanciulla interprete e receptionist a occhieggiare fuori, finchè arriva il pullman dei «talyani».
Dal carro di Tespi sbarca una torma di giovani sciammannati, un chiamarsi e un rincorrersi continuo: tutti a prendere il badge, una vocina sottile che chiede: «Dov’è che si mangia?». È lui, il grande attore, il protagonista, Ferruccio Soleri. Non altissimo, capelli brizzolati, sulla settantina, portamento del borghese fiorentino, un parlare che incanta. Per i tre giorni seguenti sarà un compagno di esplorazione senza eguali, lo sguardo chiaro e curioso dell’eterno fanciullo. Inevitabili le piccole manie: dal tè keemon («un tè nero che usavano gli imperatori cinesi, me l’hanno consigliato trent’anni fa e da allora non ho più smesso») alla spasmodica ricerca del cibo, in questo accomunato alla fame insaziabile dell’Arlecchino goldoniano («forse è per questo che mi piace», butta lì con un sorriso complice). I suoi giovani compagni («Signori Attori», si dice) se lo coccolano, si vede che lo considerano un po’ il padre nobile del gruppo.
Vederlo sul palco è un’esperienza, la maschera gattesca che gli copre il volto ne esalta lo spirito: sembra quasi che il tavolato gli dia ogni volta rinnovata energia, come il gigante di Ercole. Balla, salta, si dimena, canta. Un prodigio, gli dai quarant’anni di meno. È questa la forza del teatro.
Soleri, è dal ’61 che porta in giro questo Arlecchino, quali variazioni da allora? «Nessuna: il pubblico è abitudinario, sa esattamente quel che vuole vedere. Goldoni non è Shakespeare, Arlecchino non è un Amleto da trasformare secondo i gusti del regista.

Arlecchino è Arlecchino, siamo noi: noi che viviamo e soffriamo, sangue e carne».
Ricordiamo infine alcuni degli interpreti: Giorgio Bongiovanni, Sara Zoia, Tommaso Minniti, Stefano Onofri, Pia Lanciotti, Sergio Leone, Enrico Bonavera. A tutti, l’applauso di una platea entusiasta.

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