Solo Schwazer può fare la Pellegrini

Si rischia di passare dall’Italia in rosa del nuoto all’Italia in bianco dell’atletica. Il saluto di Andrew Howe («Ciao a tutti, mi opero») è il simbolo del nostro movimento: speranze che si sciolgono sotto un cielo azzurro tenebra. Sabato prossimo partiranno i mondiali di Berlino, occhi di tutti sulla sfida dei siluri fra Tyson Gay e Usain Bolt, cento metri per un record che rischia di essere nuovamente incrinato o sbriciolato. C’è il tanto per divertirsi con l’uomo che ha ridimensionato le imprese di Michelone Phelps a Pechino e con una compagnia di giro che non nega mai le imprese delle sue vedettes.
Ma noi, intesi come Italia, rischiamo di restare a guardare dopo la bocca dolce dei mondiali romani. Impietoso raffrontare nuoto e atletica. Negli ultimi anni la squadra in acqua ha galleggiato fra i grandi e raccolto medaglie di valore. L’atletica ha tirato fuori le unghie di Antonietta Di Martino e Alex Schwazer, ma perso qualità e campioni. Per il vero nell’atletica non c’è doping tecnologico, non c’è costume che ti faccia filare come un razzo. Battere i record è una cosa seria: non grandinano, sono rare gocce. L’atletica, nonostante ci sia sempre puzza di doping, seleziona molto di più: è lo sport a più alta densità di popolazione, ha il record di nazioni partecipanti, è mondiale sotto tanti profili, si apre ad impensabili protagonisti.
Quando ricordiamo che il nuoto ha appena conquistato dieci medaglie mondiali (la gran parte femminili e questo non è un bel segno), due anni prima ne aveva raccolte nove (7 maschili compreso l’oro di Magnini), nelle ultime tre Olimpiadi è stato trainante, non dimentichiamo la dimensione molto più ampia dell’atletica, di conseguenza la difficoltà a raccogliere medaglie.
Nel nuoto i nostri maschietti (Cleri a parte) hanno vinto il mondiale di buchi nell’acqua. Nell’atletica tutto o quasi è legato all’uomo di ferro delle grandi camminate, Alex Schwazer, dall’alto del suo oro olimpico in Cina. Dopo aver retto la parte del fidanzato di Carolina Kostner per tutto l’inverno, ora gli tocca la ribalta del protagonista. Sembra di rivedere il Lei&Lui di Federica Pellegrini. Lei vince e lui affonda. Quest’anno Carolina è affondata, Alex potrebbe vincere la sua 50 km di fatica, dopo aver conquistato il bronzo nelle ultime due edizioni. Nel 2005 a Parigi (la peggior edizione per l’atletica azzurra) il bronzo del marciatore fu l’unica medaglia.
In un immaginario gioco delle parti se Schwazer è la Pellegrini, Antonietta Di Martino può essere la Filippi, grande ma un passo indietro rispetto alla regina. La Di Martino dovrà difendere il suo argento nel salto in alto di due anni fa e rifarsi della delusione di Pechino. Ma le speranze finiscono qui.
C’è un’Italia in rosa arrembante, se non proprio da medaglia (Cusma, Rigaudo, Grenot) e una squadra maschile che s’è persa il re, esattamente com’è capitato al nuoto. Magnini ha fallito, qui Andrew Howe, che fu argento a Osaka, ha già alzato la bandiera dopo un anno che non depone per il suo futuro. Sbagliata tutta la programmazione circa la possibilità di guarire dal problema al tendine d’Achille. «Ora dobbiamo decidere quale sia il miglior tipo d’intervento chirurgico: dipenderà dalla capacità di reagire del suo corpo. Non tutti gli atleti guariscono negli stessi tempi, bisogna fare un passo alla volta. Molti talenti con problemi ai tendini sono tornati forti. Ora Andrew punta agli europei 2010», parole di Renée Felton, che poi è la madre ed anche il tecnico di Andrew. Mamma Felton è uno dei grandi rebus sul futuro di Howe: finora i suoi sistemi non hanno portato grandi risultati, anzi rischiano di far appassire un talento che, solo cinque anni fa, ai mondiali juniores di Grosseto sembrava un marziano. Stavolta a Grosseto ha alzato l’ennesima bandiera bianca.
Mamma Felton rientra nei problemi che la federazione non riesce a risolvere. Uno dei tanti. Gli altri riguardano guide tecniche che ottengono poco e materiale di scarsa qualità.

Stanno risorgendo i centisti, ma è resurrezione di retroguardia. C’è ancora Giuseppe Gibilisco, l’ultima medaglia d’oro mondiale (2003, non un secolo fa), ma questo è il segnale di un impoverimento globale. L’Italia offre solo puledrini, mentre gli altri allevano cavalli di razza.

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