Ma sono troppi 35mila euro per due mesi di vita?

L'Agenzia del Farmaco inglese ritiene che allungare di due mesi la vita di un uomo non valga trentacinquemila euro, che sono in effetti una bella cifra. Ma dire che due mesi di vita non valgono trentacinquemila euro significa, gira e rigira, un'altra cosa: significa che l'uomo ha un prezzo - altro che la vita non ha prezzo!, ce l'ha eccome - e che tutti gli sforzi (...)
(...) che l'umanità ha compiuto per eliminare la schiavitù sono serviti a poco. Gli uomini si sono sempre comprati e venduti, e così sarà per i secoli dei secoli. Le nostre cronache non parlano forse, e da molti anni, della tratta delle bianche dall'Est europeo?
Ma aggiungiamo un'altra considerazione e domandiamoci: entro quale cifra due mesi di vita possono essere, per così dire, finanziati con denaro pubblico? Trentacinquemila sono tanti, d'accordo. Ma la cifra-soglia quale sarà? Esisterà pure un prezzo di mercato. Ventimila euro? Quindicimila?
Il mio sospetto è che anche cinquemila siano troppi. Magari per cinquemila il Ssn inglese chiude un occhio e dice di sì, ma se lo fa è per bontà sua, perché fatti due conti la spesa ci può stare, la casa farmaceutica si è dimostrata ragionevole, e così via. Anche se si tratta pur sempre di prolungare di due mesi il rantolo di un morente, di un essere improduttivo: una voce comunque negativa nel Pil.
Ma resta il fatto che due mesi di vita, due mesi di respiro strascicato non valgono quei soldi.
Cerchiamo di non essere ipocriti: tutti, più o meno, la pensiamo così, e questo è il vero problema, altro che Servizio sanitario inglese. Sono conti che facciamo tutti, per una ragione o per l'altra. E lo facciamo magari anche con i nostri padri e le nostre madri. Con le migliori intenzioni, s'intende: però lo facciamo.
Io lo dico chiaro e tondo: dovesse toccare a me, risparmiate quei trentacinquemila euro, usateli per fare una donazione e non regalatemi due mesi di vita in più, che saranno in ogni caso due mesi penoso e doloroso, abitato da pensieri cupi e spesso anche malevoli, perché il molto soffrire tende a rendere l'uomo cattivo.
Va detto, però, che io dico tutte queste cose mentre sto bene. Se stessi male, ma proprio male male male, le direi lo stesso? Cerco di immedesimarmi con le volte in cui mi sono sentito molto male, ma la verità è che ho dimenticato come stavo: so che stavo male, questo sì, ma lo so astrattamente, perché il mio corpo non conserva una reale memoria di quel dolore, esistono sostanze endocrine in grado di cancellare quella ferita.
E allora mi chiedo: se avessi davanti a me solo pochi giorni di vita, e questo farmaco potesse concedermi due mesi in più, sarei così certo di voler devolvere quei trentacinquemila euro in opere meritevoli? O li spenderei per me, per quei maledetti (ma anche benedetti) sessanta giorni?
Se mi pongo questa domanda, allora il quadro si complica. C'è un imprevisto con il quale il pensiero statistico del Ssn inglese, che poi è anche il nostro pensiero, deve fare i conti. Questo imprevisto è la nostra voglia di vivere, il nostro attaccamento alla vita, che d'un tratto, nel momento estremo, ci svelano quanto sono importanti anche soltanto cinque minuti, cinque secondi, un respiro in più. Se dal punto di vista esterno un mese di vita in più non vale certo trentacinquemila euro, da quello interno chi potrà conoscere il prezzo anche di un solo istante, di un solo respiro?
Questi due punti di vista esistono entrambi: da un lato il mondo continuerà e esistere senza di noi, dall'altro noi vogliamo comunque esserci, a tutti i costi. E quest'ultima è la parte più misteriosa, e quindi anche più scomoda e spesso antipatica della vita, perché questa odiosa voglia di vivere, anche quando la vita sembra non avere più senso, non ce la toglie di dosso nessuno.
La tragedia sta nel fatto che, dei due termini è rimasto solo il primo.

Il linguaggio moderno ha smarrito le parole del mistero. Chi difende questa testarda, straziante voglia di essere, e di essere per sempre, passa per retrogrado, moralista, ipocrita, e magari finisce per crederci anche lui.

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