SORPRESA, È FINITO L’INCANTESIMO

La luna di miele tra la sinistra e la magistratura è durata così a lungo da assumere le caratteristiche d’una stabile, solidissima unione di fatto. Strutturata com’era, quell’unione avrebbe meritato la protezione di istituti tipo i Dico o i Pacs. Ma tutto sfiorisce: «que reste-t-il de nos amours» potrebbe cantare malinconicamente un qualsiasi menestrello della sinistra - magari lo stesso senatore D’Ambrosio, che vestì la toga e ora indossa il laticlavio - ripensando al tempo che fu. L’incantesimo s’è rotto soprattutto per colpa delle confidenze telefoniche tra esponenti Ds e personaggi del mondo finanziario. Massimo D’Alema s’è scagliato contro il «suk delle intercettazioni», i magistrati - «ma noi cosa c’entriamo?» - hanno replicato in tono analogo. E, già che c’erano, hanno messo sull’avviso il governo: che non si attenti a modificare «in senso peggiorativo» le norme previste da un decreto del Guardasigilli Mastella sulla riforma della giustizia. Mal glien’incoglierebbe, grandinerebbero scioperi. Tanta grazia - lo ha precisato Antonietta Fiorillo, vice presidente dell’Associazione nazionale magistrati - se uno sciopero non è stato proclamato subito dopo l’esternazione collerica del ministro velista.
Non m’interessa gran che stabilire chi abbia ragione. Di D’Alema è comprensibile l’irritazione per gli spifferi che da ogni tramezzo dei palazzi di giustizia fuoriescono con dialoghi imbarazzanti (e in molti passaggi degni davvero d’un suk malfamato). Ma del tutto stravagante è la sua aspirazione a ottenere solidarietà, per il disagio che gli è arrecato dal chiacchiericcio bancario, quando di analogo o ancor meno consistente chiacchiericcio la sinistra ha fatto uso forsennato per dare addosso agli avversari.
Ma il punto più interessante della faccenda è a mio avviso un altro. Nella stagione in cui alcuni uffici giudiziari - in particolare le procure di Milano e di Palermo - dettavano legge al Parlamento e decretavano la vita e la morte dei governi, i magistrati reagivano con atteggiamenti da divinità offese alle accuse d’agire spesso per fini personali o di categoria, non per l’efficienza dell’amministrazione giudiziaria - che infatti andava malissimo e ha continuato ad andare malissimo - e nemmeno per il bene della collettività. Respingevano con sdegno, i magistrati, l’ipotesi che le loro battaglie potessero essere di bottega, rivendicavano ad esse fini purissimi e virtuosi. E la sinistra a dar loro corda, e a demonizzare i biechi reazionari che, sui banchi opposti, esortavano l’autorità politica a liberarsi non dalle regole normali, ma dai condizionamenti anormali di toghe onnipotenti.
Ma adesso il governo ha proposto alle Camere qualche cosuccia che l’Anm non approva.

Ecco sùbito, allora, il «no pasarán» corporativo. Ogni novità è per definizione «peggiorativa» se non accontenta i magistrati. Francamente c’è poco da peggiorare. Ci hanno pensato già loro, gli «operatori» della giustizia, a portarla al punto in cui si trova.

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