«Impossibile sradicare una simile mentalità. E, almeno in un caso, stiamo parlando di immigrati formalmente ben integrati in Italia. Ma che non esitano ad arrogarsi il diritto di obbligare in ogni modo - e con modalità anche molto violente - la propria figlia a sposare qualcuno di cui lei non vuole proprio saperne».
È il vicequestore aggiunto Patrizia Peroni, che dirige la sezione «Minori e violenze sessuali» della squadra mobile, ad aver coordinato l’operazione che mercoledì mattina ha portato dietro le sbarre due pakistani di 25 e 50 anni, rispettivamente genero e suocero. Uomini dei nostri tempi, ma che sembrano appartenere a un mondo lontanissimo e incomprensibile. Sono infatti accusati di aver violentato (il primo) e picchiato e maltrattato (il secondo) più e più volte una ragazza che attualmente ha 23 anni (e che chiameremo Kamila), moglie dell’uno e figlia dell’altro. È stato soprattutto allo scopo di proteggere questa giovane donna - ma anche la sorella di 19 anni, che rischiava di fare esattamente la sua stessa fine - che gli investigatori hanno rinchiuso i due a San Vittore e mandato Kamila in una comunità lontana da Milano dove la giovane ora è serena. Del resto, se il marito della donna ha l’attenuante di essere giunto in Italia da poco, ma non quella dell’età, visto che è molto giovane e, perciò, dovrebbe mostrarsi più morbido verso usi e costumi, il padre della ragazza abita da oltre vent’anni con la famiglia nel Milanese ed è padre di cinque figli. Entrambi, fino all’altroieri, non hanno mai avuto problemi con la giustizia.
A «salvare» Kamila è stato un suo coetaneo italiano di cui la giovane si era innamorata e che, non riuscendo più ad avere sue notizie, lo scorso ottobre passava spesso sotto casa sua. Una sera il ragazzo ha raccolto un bigliettino con una richiesta d’aiuto che la ragazza, segregata in casa, gli ha lanciato dalla finestra. Dopo averlo letto, il ragazzo ha aiutato l’amica a calarsi dal primo piano e l’ha accompagnata in questura a sporgere denuncia. La giovane è stata subito portata in una struttura protetta, mentre gli investigatori hanno svolto tutte le indagini ricostruendo la vicenda anche grazie alle testimonianze di amici e conoscenti della vittima che hanno più volte ricordato le sue confessioni e i segni delle percosse che aveva sul corpo.
Kamila, seconda di cinque figli (2 femmine e tre maschi) ha raggiunto il padre in Italia quando aveva appena 7 anni, ma i suoi veri problemi sono iniziati quando ne aveva 19. Nel 2008 infatti il genitore le mostrò la foto del figlio di un suo amico dicendole di essere già d’accordo con lui perché si sposassero. La ragazza si oppose vivacemente dicendo di non conoscerlo e di non amarlo, ma in un successivo viaggio in Pakistan, dove il futuro sposo viveva, la famiglia (madre compresa) la costrinse a celebrare con lui la cerimonia di promessa di matrimonio. La famiglia di Kamila rientrò poi in Italia dove lei ragazza riprese la sua vita normale, ma nell’agosto 2011, padre, madre e i cinque figli volarono nuovamente in Pakistan per farla sposare con il giovane sconosciuto. Quando, dopo le nozze celebrate il 4 settembre, il marito pretese però di consumare il matrimonio, Kamila si oppose e lui cominciò a violentarla. I soprusi continuarono quindi in Italia nella casa di famiglia, dove la coppia si sistemò in attesa che il marito, che parla solo inglese e pakistano, trovasse un lavoro.
Di fronte al costante rifiuto di concedersi di Kamila il giovane sposo, però, cominciò a lamentarsi con il padre che, anche con il tacito assenso della moglie, prese a malmenare la figlia ordinandole (inutilmente) di fare quanto le chiedeva il marito. Per fortuna, a dare una mano a Kamila, è arrivato un «principe azzurro» italiano.
«Aiuteremo la ragazza se lo vorrà - ha proposto ieri sera l’assessore alle Politiche sociali del Comune Pier Francesco Majorino - mettendole a disposizione i nostri servizi preposti. Milano deve essere la città del rispetto del valore della persona e della dignità della donna».
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