Spariscono falce e martello, la sinistra è un arcobaleno

Prc, Pdci, Verdi e Sd si accordano sul nome della Cosa rossa ma sul "tratto grafico comune" è polemica

Spariscono falce e martello, la sinistra è un arcobaleno

Roma - Il nome non è un nome: sono due, di taglio totalmente diverso. La «Sinistra», d’accordo, è categoria politica. Ma l’«Arcobaleno», che cos’è? Fenomeno meteorologico. Acquerugiola rifratta.
Il simbolo non è un simbolo: «è un tratto grafico comune», minimizzano i leader. Non è chiaro se i sette colori rappresentino l’indecisione a tutto, l’adesione a tutto o finiranno presto sommersi dai quattro simboli ben noti, in due dei quali campeggia ancora «falce e martello».
I quattro si presenteranno assieme alle prossime elezioni amministrative, alle Europee, o soltanto a qualche convegno? Non è deciso: Fabio Mussi chiarisce che «le situazioni sono variabili, l’impegno però è andare il più possibile uniti». Uniti? In ordine sparso, pare di capire dai chiari di luna. Meglio, dalle lune di traverso dei quattro co-fondatori: Franco Giordano, Oliviero Diliberto, Alfonso Pecoraro Scanio e Fabio Mussi.

In questa veste semi-clandestina ieri alla Camera ha emesso il primo vagito la «Cosa rossa». Il battesimo semi-ufficiale del semi-partito è previsto per sabato e domenica prossimi, agli Stati generali convocati lontano da Dio e dagli uomini: alla nuova Fiera di Roma, a metà strada tra la capitale e l’aeroporto di Fiumicino. Si parte di sicuro, ma per dove nessuno lo sa. I lavori sono stati strutturati in «forum»: una formula nota e apprezzata dagli amanti degli scambi di vedute generali e generici. Un palcoscenico privilegiato per intellettuali dimenticati e giovani sognatori. Fausto Bertinotti, che pure avrebbe voluto un’Epinay della Sinistra alla maniera di Mitterrand, porterà i suoi auguri ma non parlerà. Parleranno invece i segretari, ma non a conclusione dei lavori - sarebbero nate liti e gelosie reciproche -, bensì nel corso dell’assemblea plenaria, «al pari di tutti gli altri interventi», ha gonfiato il petto Giordano.

Si cerca di mutuare lo schema dei social forum, ma non è detto che agli Stati generali vi siano tanti giovani dei movimenti. Vista la partenza, è facile attendersi piuttosto tanto apparato in cerca di un perché.
Stessa domanda repressa trapelava dai volti dei leader riuniti ieri allo stesso tavolo. Se sul simbolo nelle scorse settimane si è scatenata una furibonda querelle - Diliberto lottava per falce e martello, Pecoraro per un po’ di sole -, è del tutto misteriosa la strategia comune messa in campo dai quattro leader. Dopo il voto in libertà di Diliberto sul welfare, la morte putativa del governo decretata a sorpresa da Bertinotti, la sudditanza a Prodi degli altri, ci si sarebbe aspettato un regolamento di conti, almeno un franco confronto di idee, magari un abbozzo di piattaforma. Invece, ha gioito Diliberto, «abbiamo evitato le polemiche e tutti gli argomenti che ci dividono». Sarà rimasto appena il tempo per un caffè. La nuova posizione di Bertinotti sul governo ha lasciato di sasso Pecoraro Scanio e di stucco Mussi. Ha consentito però a Diliberto di riposizionarsi di nuovo a destra di Fausto, come da tempo non gli capitava. Fosse il centravanti del Cagliari, sarebbe sempre smarcatissimo per il gol.
Mussi, l’intellettuale della compagnia, ha negato di essersi «incazzato» con il presidente della Camera. «Ho parlato a lungo con lui - ha spiegato -, una discussione politica. La vocazione delle forze grandi è sempre governare, ma sanno stare anche all’opposizione...». L’unico motivo di disaccordo con Fausto, allora, pare essere stato condensato nella frase: «Ma almeno avvisami, prima di dire quelle cose su Prodi!». Diliberto, felice di liberarsi dal giogo bertinottiano, ha invece riscoperto la sua grande «vocazione di governo». Senza dimenticare, però, di conservare anche «mani libere»: il che significa, a occhio e croce, che continuerà a votare all’incontrario del Prc.


Presto ancora per dire che razza di Cosa sarà questa «rossa», nata figlia di nessuno. Spariscono «falce e martello», questo è certo. Ma niente paura: Rizzo, Cannavò e Ferrando non vedono l’ora di restare soli a coccolarsi il marchio di fabbrica.

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