Guarda che roba, avrebbe esclamato Totò davanti a tutto quel bendidio. In effetti Silvana Pampanini, scomparsa ieri a novant'anni (li aveva compiuti il 25 settembre scorso), fu la prima maggiorata del nostro cinema. Anche se a voler pignoleggiare l'azzeccato neologismo era stato coniato dall'occasionale principe del foro Vittorio De Sica in Il processo di Frine per l'altrettanto (fisicamente) dotata Gina Lollobrigida. Due dive, quasi coetanee, divise da qualche centimetro di circonferenza toracica e da una fiera rivalità. All'inizio fu la Pampanini a prevalere sulle locandine e nel cuore degli spettatori maschi. Poi la Lollo la soppiantò in popolarità, fino all'avvento di Sophia Loren, la terza, formidabile supercarrozzata fuoriserie di Cinecittà.Come era quasi obbligatorio negli anni immediatamente successivi alla guerra, le vie per approdare al cinema erano due, anche se qualcuno potrebbe aggiungerne maliziosamente una terza: i concorsi di bellezza e i fotoromanzi. E la ventenne Silvana partecipò a Miss Italia nel '46, piazzandosi seconda alle spalle della meteora Rossana Martini. Così in quello stesso anno esordì sul set nel dimenticato L'apocalisse di tale Giuseppe Maria Scotese. Il dado era dunque tratto, al punto che il padre dell'ormai non più aspirante attrice, dapprima contrarissimo a una figlia bersaglio dei guardoni, ne divenne lo scrupoloso agente artistico.Otto film tra il 1947 e il 1949, nessuno da cineteca, ma fra i sei del 1950 ecco Bellezze in bicicletta, a fianco di Delia Scala, in cui cantava, con voce assai ben intonata, un motivetto destinato a furoreggiare sui grammofoni, e 47 morto che parla con Totò. Due clamorosi successi di pubblico (allora la critica contava giustamente ancora meno di quella d'oggidì) e lancio definitivo nell'Olimpo del cinema, quasi sempre in bianco e nero.Piovevano i contratti, tra il 1951 e il 1955 la Pampanini girò la bellezza (si fa per dire) di trentatré pellicole. Alcune perfino passabili, se non addirittura apprezzabili, come Processo alla città di Zampa, La presidentessa di Germi, Un marito per Anna Zaccheo di De Santis, Un giorno in pretura di Steno, La bella di Roma di Comencini, Racconti romani di Franciolini. Poi, chissà perché, o forse per l'esplosione, in senso ovviamente figurato, ma il termine rende bene l'idea, delle due Miss Elle (Lollo e Loren), la stella della trentenne Silvana cominciò ad offuscarsi. In patria più che all'estero, dove conquistò platee probabilmente meno esigenti, come quelle egiziane o argentine. Un discorso a parte merita invece la Francia: Ninì Pampàn era stata ribattezzata, con l'accento sulla seconda «a» del cognome, quasi a renderla parigina ad honorem.Neanche a farlo apposta, due tra i suoi film più riusciti le capitarono con il diradarsi degli ingaggi: La strada lunga un anno (1958), ancora diretta da Giuseppe De Santis, candidato all'Oscar per l'Italia, e il magnifico, sottovalutato Il gaucho (1964) di Dino Risi, in cui interpreta spiritosamente una star sul viale del tramonto. L'ultima volta è apparsa nel modestissimo, ma incredibilmente assai gradito al pubblico, Il tassinaro (1983) di Sordi. Dove fa la parte di se stessa, permettendo, con encomiabile autoironia, che il protagonista la scambi per Sylva Koscina.Stranamente fu snobbata dalla televisione, facendovi rarissime apparizioni. L'unico che si ricordò di lei fu Maurizio Costanzo, il quale la invitò spesso sul palcoscenico del suo fortunato show. E qui la Pampanini si scatenava facendo con vezzosa improntitudine lo sterminato elenco dei flirt celebrato dai settimanali rosa, tutti più o meno presunti, a sentir lei.
Da illustri colleghi come Tyrone Power, William Holden, Omar Sharif e Orson Welles, a una pletora di re e principi da far invidia a Cleopatra. «Non dirò mai se ci sono stata o no, comunque sappiate che non ho mai voluto né mariti né figli, ma di corteggiatori ne ho avuti un esercito», era il suo ostinato refrain. Speriamo che almeno sia stata felice.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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