di Marcello Simoni
Mar Ligure
13 maggio 1461
T roilo Sophianos rimase nascosto nel cassero, ben avvolto nella sua schiavina, mentre la ciurma di una nave sconosciuta prendeva possesso della galea su cui era imbarcato. Dannata sfortuna!, penso. L'aveva sentita su di sé per tutto il viaggio da Avignone fino al porto delle Acque Morte, dove, nell'illusione di sfuggirle, era salito a bordo di un legno destinato ad andare incontro prima a una tempesta e poi a un atto di pirateria.
Spiò da una feritoia del battente di legno borchiato, l'unica protezione che lo separava dall'esterno, e con sua grande sorpresa notò che gli abbordatori non avevano ancora ucciso nessuno. Si erano limitati a radunare i vogatori, il comito e il resto dell'equipaggio nella zona di prua, tenendoli a bada con pugnali e rampini di ferro, nell'attesa che la stiva venisse saccheggiata.
Se di primo acchito aveva pensato ai corsari turchi, ora Troilo si accorgeva che gli invasori indossavano abiti dal taglio occidentale. Non erano milites, ma semplici marinai al seguito di un tizio grasso e sgraziato che aveva faticato non poco ad attraversare la lunga tavola di legno estesa fra la sua imbarcazione un brigantino privo d'insegne e la galea presa d'assalto. «Que voyez-vous?», mormoro una voce in accento provenzale.
L'uomo con la schiavina si volto di scatto, scrutando la mezza dozzina di persone rintanate insieme a lui nell'ombra del cassero. A parlare era stato un giovane ufficiale, il più alto in grado di comando dopo che la procella della notte precedente aveva scagliato in mare il capitano e il timoniere con l'intero albero di maestra.
Anziché rispondere, Troilo riprese a spiare l'individuo grasso, che si stava portando al centro della corsia con aria compiaciuta. Definirlo grottesco sarebbe stato un complimento. Il ribaldo camminava aiutandosi con un bastone e aveva gambe sottili che facevano contrasto col ventre sporgente, dandogli l'aspetto di un abnorme cappone. Persino il modo d'incedere gli conferiva qualcosa del pennuto, con quel suo avanzare con il busto proteso in avanti, la schiena rigida e il capo che ruotava a destra e a manca.
D'un tratto Troilo si pentì d'aver indugiato in simili pensieri. Quasi si fosse reso conto di essere osservato, il grassone puntò l'indice verso di lui o meglio, verso il battente sprangato del cassero ordinando a un marinaio di farsi strada con un'ascia.
Troilo fece appena in tempo ad arretrare che lo schianto del legno rimbombò all'interno del rifugio. E ben presto la luce del sole iniziò a fendere l'ombra, penetrando da fessure sempre più larghe, finché la porta non cedette.
«Reculez, criminels!», gridò il giovane ufficiale, sguainando la daga per prepararsi a respingere gli invasori. «Nessuno entri, ou je jure sur Dieu...».
Il grassone emise una risata porcina. «I miei omaggi, signore!», lo rabbonì in volgare fiorentino mentre gli si avvicinava picchiettando il bastone sulla tolda. «Avete equivocato».
«Equivocato...?», scandì il provenzale, senza abbassare la guardia. «Equivocato cosa, monsieur?»
«Sono qui per aiutarvi, monsieur», chiarì il capo degli arrembatori, scimmiottando la cadenza occitana dell'ufficiale. Congedò con un'occhiata il marinaio con l'ascia e appoggiò una mano allo stipite. «Vedete... Io stavo seguendo la mia rotta, sul mio bravo brigantino, quando ecco, all'improvviso, comparire a dritta la vostra galea che andava alla deriva. Mi seguite, monsieur? Non so se ve ne siete accorto, ma avete perso l'albero di maestra e, a giudicare da come beccheggiate, il vostro timone dev'essere andato a farsi benedire. Perciò ditemi, amico mio, con quale coraggio avrei potuto definirmi cristiano se non vi avessi prestato soccorso?».
Prima di ribattere, l'ufficiale allungò il collo per guardare cosa stesse accadendo oltre le polpose spalle dell'interlocutore. «Allora spiegatemi», snocciolò con tono d'accusa, «come mai i vostri uomini starebbero svuotando la mia stiva?»
«Semplicemente stanno mettendo al sicuro le mercanzie che vi sono custodite», gli rispose il grassone, sempre canzonatorio. «Il vostro comito afferma che siete diretto a Pisa per consegnare un importante carico di pellami insieme a cento casse di lesine, scardassi e altri arnesi da conciatura. Roba di un certo pregio, se mi è concesso esprimere un'opinione... Ebbene, considerata la vostra attuale incapacità di onorare l'incarico, lo faro io per voi, sollevandovi com'è ovvio dal disturbo di riscuotere le provvigioni».
«Sciacallo!», s'infiammò l'ufficiale. «Fils de pute!», e vin- cendo l'incertezza tradì l'intento d'infilzarlo.
Tutto quel che fece il grassone fu allungare il bastone verso di lui, posarlo sulla daga e invitarlo ad abbassarla. «Del resto», sogghignò, «non avete scelta, monsieur. Siete alla mia mercé. Senza contare che sarebbe un peccato lasciare tanti beni andare alla deriva».
«E la mia nave?», protestò l'altro. «Il mio equipaggio?»
«Non siete lontano dai lidi corsi», gli rispose il predone con un'alzata di spalle. «Pregate san Nicola o il pio san Marco. A Dio piacendo, le correnti vi trascineranno pian piano fin là». Accennò quindi un frettoloso gesto di congedo e spostò l'attenzione verso gli arrembatori che si affaccendavano per caricare il maltolto sul brigantino.
«Aspettate!», intervenne a quel punto Troilo Sophianos.
Il grassone si voltò di scatto, scrutò a una a una le facce della gente rintanata nel cassero, incluso l'ufficiale che an- cora tremava per la rabbia, e si soffermò su colui che aveva parlato. «Chi sareste?», lo interpellò.
«Non è tanto il mio nome a dovervi interessare», prese coraggio l'uomo con la cappa, «quanto la mia necessità di raggiungere la terraferma il prima possibile».
«E questo prima possibile», soggiunse l'altro mentre lo soppesava con lo sguardo, «avrebbe un prezzo in fiorini?»
«In solidi bizantini».
«Mi prendete per grullo?», s'innervosì il capo degli arrem- batori. «Costantinopoli è caduta, la sua moneta non vale un fico secco».
«Ma l'oro di cui è composta sì», precisò Troilo.
Il grassone si massaggiò il mento carnoso, sul quale affiorava una barba biondiccia e lanuginosa. «Anche se fosse», commentò con diffidenza, «non vedo scarselle appese alla vostra cintura».
«Il denaro», gli assicurò, «vi sarà consegnato non appena avrò messo piede sulla banchina di un porto».
Il ribaldo rise.
«E io dovrei fidarmi della vostra parola?»«Fidatevi della mia disperazione, se volete», replicò l'uomo fuggito da Avignone. «Giacché dalla riuscita della mia impresa dipende la vita di un uomo a cui sono legate le sorti della cristianità tutta».
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