Arriva il rivoluzionario The Legend of Tarzan

Finalmente un Tarzan che legge la raffinata rivista inglese “The Punch”, che non grugnisce come l’uomo di Neanderthal, ma parla in modo forbito e si veste come un lord

Arriva il rivoluzionario The Legend of Tarzan

Finalmente un Tarzan che legge la raffinata rivista inglese “The Punch”, che non grugnisce come l’uomo di Neanderthal, ma parla in modo forbito e si veste come un lord. Senza aver perso un etto del suo spirito della giungla, anzi: quando il governo inglese, in piena epoca vittoriana, lo spedisce in Congo a risolvere un’intricata questione, “Lord Tarzan” si riappropria di liane, urla gorillesche e salti nel vuoto. A questo era abituato fin da piccolo, del resto, e non restiamo delusi guardando, in anteprima, venti minuti del blockbuster estivo “The Legend of Tarzan”, che Warner manderà in sala il 14 luglio, giusto il giorno della Rivoluzione francese. Perché di rivoluzionario, qui, nel film di David Yates già firmatario degli ultimi quattro “Harry Potter”), c’è parecchio: a partire dalla bella Jane (la statuaria Margot Robbie), tutt’altro che una damigella bisognosa d’essere salvata o soccorsa e dagli animali – gorilla nei loro habitat naturali; bufali selvaggi e leoni – resi con la tecnica dell’animazione, quindi più realistici rispetto alla tecnica del solo CGI elettronico. Quanto al protagonista, l’atletico svedese Alexander Skarsgard, che a torso nudo si batte con il fratello gorilla Akut (“per lui sono un disertore”, dice Tarzan), egli è pronto a sfidare le leggi di gravità, piombando in forre profonde, tanto per saltare su un treno sottostante a 75 all’ora… L’assaggio di questa hit estiva, avvenuto ieri alla Casa del Cinema dopo l’anteprima londinese, consiste in otto scene montate per rendere il look del film, quindi non in sequenza. Si parte dalle origini, con i genitori di Tarzan nella giungla, alle prese con enormi gorilla che li accerchiano: una orango femmina si avvicina alla culla del bimbo-Tarzan – pallido, biondo, occidentale - e lo afferra, portandoselo via tra le proteste degli altri quadrumani.

Azione concitata tra gli alberi e qualche eco del “Tarzan” disneyano, nei Sessanta un classico dell’animazione,direttamente ispirato al libro di Rudyard Kipling. E fa presa il concetto, ormai acclarato dalla moderna etologia, che tra uomini e animali circoli lo stesso afflato parentale: bella la manina candida del baby-Tarzan, che s’infila nel pelame della mamma-orango, a cercare istintiva protezione. E’ noto, infatti, che anche tra specie diverse prevalga l’istinto di cura: cani che accudiscono cuccioli di gatti, per esempio. Ma gronda sexy-romanticismo la scena in cui Jane, in una notte selvaggia, ascolta i richiami degli animali in calore, riconoscendoli uno a uno, finché alle sue spalle compare Tarzan. Naturalmente, la parte “action” è predominante in questa versione cinematografica dell’iconico personaggio creato da Edgar Rice Burroughs. Samuel L.Jackson, che ha il compito di rinfrescare il tutto con la sua verve comica, non sa come muoversi nella giungla: il suo George Washington Williams risulta buffo e divertente, soprattutto quando deve aggrapparsi a Tarzan per sopravvivere tra paludi fumiganti e dirupi scoscesi. Ecco poi il “villain” per eccellenza Christoph Waltz, che fa il cattivo ragazzo ancora una volta: è per questo che ha vinto il suo primo Oscar in “Bastardi senza gloria”. Seduto a tavola con Jane, lui la minaccia e l’incatena con un rosario di legno, “portabile anche come monile”, sibila lui perfido.

Non resta che attendere per valutare quanto sia convincente questo Tarzan/ Lord John Clayton III, l’uomo-scimmia che si percuote il petto, esplorando le connessioni latenti all’interno di uno stesso territorio, abitato da uomini e bestie in paradossale adiacenza: la giungla. Del resto, la nascita del singolo avvenne in una foresta, dov’era impossibile dissociarsi dal regno animale.

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