Dopo innumerevoli versioni sul grande schermo tra cui quelle eccellenti di Jean Cocteau del 1946 e della Disney del 1991, arriva nelle sale un nuovo adattamento della fiaba "La Bella e la Bestia" firmato stavolta da Christophe Gans, regista francese già autore di "Silent Hill" e de "Il patto dei lupi". Presentata fuori concorso a Berlino 2014, questa pellicola si distingue dalle precedenti per l'aggiunta di dettagli inediti attinti direttamente dalla novella di Madame de Villeneuve. Il budget di oltre trenta milioni di euro, enorme per una produzione europea, è stato speso in gran parte in scenografie maestose e mirabili effetti speciali. Lo sforzo tecnico per ottenere un opulento quanto affascinante spettacolo visivo è indubbio, ma lo è anche l'approssimazione con cui la sceneggiatura si occupa della vicenda sentimentale al centro della storia: non c'è traccia di romanticismo né di approfondimento psicologico e le dinamiche d'innamoramento tra i protagonisti restano inesplorate.
Siamo in Francia nel 1810. Un mercante caduto in rovina dopo aver perso la propria flotta di navi in una tempesta, è costretto a trasferirsi in campagna con i suoi sei figli. Di ritorno da un viaggio ruba una rosa in un reame misterioso, suscitando l'ira della Bestia (Vincent Cassel) che lo abita. Il fiore è destinato a Belle (Lea Seydoux), l'adorata figlia minore, che, sentendosi in colpa, si reca al castello per barattare la sua vita con quella del padre. La Bestia, anziché ucciderla, le chiede di restare per sempre e di presentarsi ogni sera a cena. Notte dopo notte, la ragazza apprende in sogno la verità sulla maledizione di cui è vittima il suo carceriere, cosa che le permette col tempo di scoprirne l'umanità sepolta e di imparare ad amarlo.
Mentre la celebre fiaba insegna ad andare oltre le sembianze fisiche, alla ricerca della bellezza interiore, e mostra quanto l'amore possa trasformare le persone, il film di Gans, paradossalmente, si dilunga su tutto quanto è apparenza e superficialità, tradendo in questo modo il significato intrinseco del racconto. Vincent Cassel è credibile nel suo ruolo perché ha una virilità fieramente animalesca, ma compare pochissimo in vesti umane e per giunta il suo personaggio è dipinto come egoista e sgradevole. Quanto alla bella Lea, più che cambiarsi continuamente d'abito, sfoggiando generose scollature, non le viene concesso di fare. Il resto è la sommatoria di citazioni di altri film: sorelle che sembrano rubate a "Cenerentola", un castello burtoniano alla "Edward Mani di Forbice", enormi rocce antropomorfe come ne "Il cacciatore di giganti" e così via. Cercando di piacere a un pubblico eterogeneo, il film rischia di scontentare un po' tutti: gli adulti, con una storia d'amore indebolita dalla creazione di sotto-trame riguardanti figure secondarie, e i bambini, dedicando loro solo certe creature ispirate a cagnolini che non hanno alcun peso nell'intreccio ed esponendoli a un gratuito nudo di donna e a efferate uccisioni. Un vero peccato.
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