Quando la cronaca diventa Storia? Quando le generazioni che vengono dopo i fatti, avendone sentito parlare diventano curiose, quando chi quei fatti li ha vissuti, a colpi di radio e telegiornali, vuole vederseli rimettere davanti, con una luce nuova (si spera più fredda e più pacata). Questo fenomeno è chiaramente in corso per le vicende dell'Italia degli anni 80/90. Lo prova la fortuna che hanno fiction, docufiction e documentari dedicati a quel periodo.
Ultimo in ordine di tempo arriva su History Channel La banda della Uno bianca, documentario che andrà in onda domani e dopo domani alle 21 e 50. La vicenda ricostruita è quella della banda, composta da poliziotti, che tra il 1987 e il 1994 terrorizzò l'Emilia Romagna con una escalation di rapine ed omicidi. È un racconto a più voci, tra cui spiccano soprattutto quelle del sostituto commissario Luciano Baglioni e del sovrintendente capo Pietro Costanza, i due agenti che con perseveranza condussero l'indagine, sino a rendersi conto che la lunga scia di sangue - 103 atti criminali, 102 feriti, 24 morti - portava verso dei loro colleghi. Ovviamente in questo caso ad attirare l'attenzione del pubblico, allora come oggi, è l'incredibile dimensione e la ferocia «militare» della banda. Ferocia che Baglioni e Costanza furono tra i primi ad incontrare, nel 1987. Quando il nome «Banda della Uno bianca» non era stato ancora inventato, indagavano, con altri colleghi della questura di Rimini, sulle misteriose e violente rapine notturne ai caselli lungo la A14. I rapinatori tentano un'estorsione contro un commerciante che, però, si fa scortare dagli agenti lungo l'autostrada dove i banditi hanno previsto lo scambio. Il risultato è un tremendo scontro a fuoco, dove viene ucciso il sovrintendente di polizia Antonio Mosca.
Se questa è la partenza della vicenda, a rendere particolarmente interessante La banda della Uno bianca (prodotto da Stand By Me) è la capacità del documentario di dar spazio a molti protagonisti di quell'epoca, tra cui l'allora sindaco di Rimini Giuseppe Chicchi, che ricostruiscono il contesto in cui si mosse la banda. Una Romagna sospesa tra il divertimento e la fame di denaro, tra il lavoro duro e la voglia di saltare le tappe, tra l'allegria e una rabbia cupa carica di malessere. Una spaccatura che non si è mai davvero chiusa e che nelle parole dei sopravvissuti alla violenza dei tre fratelli Savi (che erano il cuore feroce del gruppo della Uno bianca), come Francesca Gengotti, emerge con chiarezza.
Un pezzo d'Italia rimase incredulo e terrorizzato, sotto le raffiche di colpi, non più ideologiche, come negli anni Settanta ma proprio per questo ancora più brutali. E bruciante risulta il contrasto tra i veri servitori della legge e dello Stato, ma potremmo dire più in generale della comunità, e chi usò la divisa per mascherare meglio la sua natura e trasformò il suo addestramento in mezzo di sopraffazione per prevalere in un mondo dove non conta nulla se non dimostrare la propria forza.
In modo diverso queste complessità, queste sottili linee di faglia che caratterizzarono quel periodo sono quelle che emergono anche in altri prodotti. La serie Alfredino. Una storia italiana (Sky), come spiegava in queste pagine il collega Alessandro Gnocchi, ha messo ben in luce come attorno al pozzo dove era caduto il piccolo Rampi si agitassero diverse Italie: quella generosa, quella pasticciona, quella che voleva a tutti costi vedere in diretta il lieto fine, quella che si impegnò allo spasimo e quella che si perse nei cavilli.
Ancora prima, la serie SanPa (Netflix), per quanto sbilanciata nel suo puntare il dito contro gli errori di Muccioli senza vederne i meriti, ha raccontato altre fratture tremende che hanno attraversato il nostro Paese negli anni Ottanta. Il gorgo di una generazione sprofondata nella droga, l'assenza di un sistema sanitario che a parte il metadone aveva poco da offrire, lo spontaneismo di una comunità, San Patrignano, che cresce a dismisura e perde il controllo di se stessa.
Non stupisce quindi che quel pezzo di vicende italiane, rimaste a lungo schiacciate tra gli anni di piombo e i grandi rivolgimenti degli anni Novanta, sia tornato ad essere d'attualità. Proprio al concludersi di quel decennio lo storico Francis Fukuyama ha costruito l'idea di «fine della Storia».
Era un'idea poco feconda per descrivere gli anni a seguire il crollo del Muro di Berlino. Ma risulta falsa anche per gli «immobili» anni 80. La storia italiana, forse, si era fatta cronaca. Ma ora capiamo quanto quella cronaca ci abbia cambiato.
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