"Canterò nel Fidelio pensando alla lotta delle donne arabe"

La soprano Anja Kampe nell'opera di Beethoven che inaugura la stagione della Scala: "Un difficile inno all'amore che diventa una vera sfida per qualsiasi voce"

"Canterò nel Fidelio pensando alla lotta delle donne arabe"

È il soprano tedesco Anja Kampe la protagonista di Fidelio di Ludwig van Beethoven, l'opera che il 7 dicembre inaugura la stagione del teatro alla Scala. Sarà Leonore, la donna-coraggio che si traveste da uomo e, col nome di Fidelio, si introduce nel carcere dove il marito Florestan è detenuto ingiustamente. Lo libererà: a sigillo dell'amor coniugale - tema portante dell'opera - e della giustizia che così trionfa. La Kampe conosce ogni piega del personaggio avendolo affrontato 75 volte da quando, nel 2006, debuttò in una produzione curata dalla stessa regista del Fidelio scaligero, Deborah Warner.

Signora Kampe, si lotta contro i soprusi, contro un potere non legittimato dal diritto. Quanto spirito rivoluzionario c'è in questo titolo concepito nel decennio 1805-1814, fra postumi del Terrore giacobino e ordine ristabilito dal Congresso di Vienna?

«Lo spirito è rivoluzionario perché vincono le forze positive. Per farci immedesimare nei personaggi, la regista ci ha suggerito di pensare ai quattro protagonisti, quindi io, mio marito Florestan, il governatore della prigione Don Pizzarro e il ministro Don Fernando, come a un gruppo di ex studenti. Un tempo erano compagni di studi, hanno lottato difendendo ideali comuni, erano attivi politicamente. Poi, crescendo, hanno imboccato strade diverse, taluni del bene, altri del male».

Nella versione del suo debutto, Fidelio rifletteva gli orrori della guerra del Kosovo. Questo scaligero?

«Sono troppe le guerre per potersi riferire a una in particolare. Fidelio è indefinito. È centrato su una donna che per la libertà, trae forza dall'amore per Florestan».

Un amore necessariamente coniugale?

«Fidelio è stato scritto due secoli fa, nel frattempo le cose sono cambiate. Conta l'amore, non serve che sia sancito dalla Chiesa o dallo Stato, che sia etero o gay».

Fidelio incarna una donna di grande coraggio. Ci sono esempi attuali che la stanno ispirando?

«In questi giorni penso alla regina Rania di Giordania. In un discorso al Media Summit di Abu Dhabi ha condannato l'Isis in quanto distorce agli occhi del mondo l'immagine dei Paesi arabi, e li ha spronati a far qualcosa per divulgare l'immagine reale, e dunque positiva, di un popolo sul quale pesano molti pregiudizi. Mi affascina questa donna che in un mondo dominato da uomini, ricorda di lottare contro l'immagine di arabi stupratori e pronti a far saltare teste».

Proviene da un matrimonio che s'è sciolto. Non la turba vestire i panni della moglie-coraggio?

«È stato un matrimonio bellissimo, mi sono sposata molto giovane e le nostre strade si sono divise. Nessun imbarazzo a essere Leonore: penso a un amore non per forza coniugale».

Fidelio racconta storie di carceri. Che si vedranno anche in questa edizione o avete novità in serbo?

«C'è molta prigione anche nel Fidelio scaligero. Si vede la sofferenza umana, non può accadere altrimenti. La musica di Beethoven mette in luce il lato tormentato dell'uomo, le sue paure e preoccupazioni. Solo alla fine arriva la luce, la speranza».

Beethoven ha scritto una sola opera, Fidelio appunto, l'ha rifatta tre volte. Come tratta le voci?

«È chiaro che la sua esperienza maggiore sta nella musica strumentale, per cui non conosce a fondo le esigenze delle voci e risulta difficile per i cantanti. Ma è un'opera talmente bella...».

Fidelio vede in azione un cast germanico. Come vi trovate alle prese con modalità di lavoro italiane?

«Diciamo che le ruote vanno più lentamente che in Germania.

Comunque, il maestro Barenboim è a capo di un teatro tedesco e imposta allo stesso modo il lavoro alla Scala. Quando ci si rivolge direttamente alle singole persone nessuno si tira indietro, anzi tutti sono pronti a dare l'anima. L'importante è non perdere mai l'entusiasmo per questa cosa meravigliosa che è l'opera».

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