Il "correttore" Franzen vuole i pinguini al posto dei bambini

Il celebrato autore si lascia prendere la mano dall'ambientalismo. Con esiti tragicomici

Il "correttore" Franzen vuole i pinguini al posto dei bambini

Credevo fosse un anticonformista, Franzen. Di lui non ho mai letto un romanzo perché non possiede il dono della sintesi, quello che Dante chiama «lo fren dell'arte»: Le correzioni consta di 604 pagine, Libertà arriva a 650, il più recente Purity svetta a quota 680... E poi non è che i problemi delle famiglie del Minnesota o delle coppie del Colorado, per quanto giudicati universali dai fan, siano in cima ai miei pensieri. In compenso ho gustato tutte le interviste che mi sono capitate a tiro. Lo scrittore americano mi è sembrato un ambientalista fissato ma non fanatico e un progressista, scusate l'ossimoro, reazionario. Un autore con una sua personalità. Un signore vagamente eccentrico, magari ossessionato dagli uccelli selvatici ma non un animalista cieco: ha sfidato l'odio di milioni di gattare notando che il principale nemico di passeri e pettirossi non è l'uomo bensì il felino domestico (i sempre più numerosi gatti, sebbene rimpinzati di crocchette, continuano a venire attirati da nidi e volatili).

È un intellettuale progressista, come quasi tutti, quando si occupa di politica, e tuttavia reazionario, come non tantissimi, quando si occupa di tecnologia. Capace di dichiarazioni dal sapore antimoderno: «L'effimero sound-byte di Twitter è l'antitesi della letteratura, che cerca l'immortalità». Questa vena preziosa di misoneismo riemerge a tratti anche in La fine della fine della terra (Einaudi), raccolta di sedici testi fra cui brevi saggi, recensioni, ricordi, diari di viaggio. Nel fulmineo capitolo intitolato «Dieci regole per scrivere narrativa» trovo: «Difficilmente chi è connesso a internet scriverà qualcosa di buono». Mentre nel capitolo intitolato «Scrivere saggi in tempi bui» si rimpiange l'età dell'oro della saggistica, l'epoca in cui pensatori autorevoli, sulla scia di Montaigne e di Emerson, scrivevano lentamente opere profonde destinate a un pubblico abbastanza numeroso di lettori attenti. Insomma l'epoca dell'alta cultura, ormai remotissima da noi che «passiamo le giornate a leggere su uno schermo della roba che non ci degneremmo mai di leggere su un libro stampato».

Sfortunatamente simili considerazioni vengono lasciate cadere presto e troppe pagine sono occupate dai maledetti uccelli, così invadenti che viene voglia di organizzare uno spiedo bresciano. Non voglio dire che La fine della fine della terra sia libro riservato agli ornitologi. Un abile narratore può permettersi anche il tema francobolli. Ogni tanto, però, mica sempre. Scrivere troppo di francobolli non potrebbe permetterselo nemmeno un Hemingway redivivo, e scrivendo a ripetizione di tortore e pinguini anche l'abile Franzen può stancare. Non ho citato i pinguini a caso: sono gli uccelli del suo cuore. «Vedere un pinguino reale in libertà mi sembrava un motivo sufficiente non solo per aver intrapreso il viaggio, ma anche per essere nato». È l'eccitato resoconto di una spedizione in Antartide di fronte al quale si può sorridere ma non ha senso discutere. De gustibus, dicevano gli antichi.

Purtroppo c'è un passaggio meno ridicolo, meno innocuo: «L'azione più efficace che gli esseri umani possono intraprendere singolarmente, non solo per combattere i cambiamenti climatici ma anche per conservare la biodiversità del pianeta, è non avere figli». Qui siamo in pieno neo-malthusianesimo, tornato di moda negli Usa grazie ad Alexandria Ocasio-Cortez, parlamentare democratica in grande ascesa, secondo la quale fare figli danneggia l'ambiente. Franzen ci aggiunge del suo e pertanto ci infila gli insopportabili uccelli in frac: «Forse i pinguini, con la loro somiglianza ai bambini, possono creare un ponte verso un modo migliore di ragionare sulle specie messe a rischio dalle logiche umane: anche loro sono nostri figli». Pur con i suoi abituali modi cautelosi, per non dire ambigui, il narratore birdwatcher sembra vagheggiare una sostituzione culle/nidi, bambini/pinguini. Come ambientalista moderato non c'è male, chissà gli ambientalisti estremisti.

Credevo fosse un anticonformista, Franzen, e invece sull'ambiente mi casca come un gretino qualsiasi, indistinguibile ovino del gregge di Greta Thunberg. Quando parla di cambiamenti climatici, di riduzione delle emissioni, non c'è una virgola che non susciterebbe quasi unanimi condivisioni sui social network da lui giustamente detestati.

Ogni tanto sembra riattivare il pensiero e recuperare un minimo di indipendenza: «Trump e i suoi sostenitori dell'Alt-right godono a toccare i tasti dolenti della correttezza politica, ma ci riescono solo perché quei tasti esistono: studenti e attivisti che rivendicano il diritto di non sentire ciò che li disturba e di mettere a tacere le idee che li offendono». Poi rovina tutto facendoci sapere che ha votato Hillary Clinton, come il novanta o novantacinque o novantanove o novantanovevirgolanove per cento dei suoi colleghi.

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