Con l'apertura del World Economic Forum di Davos, inaugurato ieri, spinto da una curiosità diventata ormai morbosa e colpito dal fatto che in Italia radio e Tv continuassero a pronunciare scorrettamente il nome della celebre località del Canton Grigioni (alla francese, con l'accento sulla o anziché sulla a, come prevede la lingua tedesca), con ancora nelle orecchie la puntata pomeridiana di Focus Economia (la popolare trasmissione radiofonica di Radio 24 condotta dal pur preparatissimo Sebastiano Barisoni in dialogo con il vicedirettore del Sole 24 ore, Alessandro Plateroti) ieri sera mi è capitato per caso di riaprire La Montagna Magica di Thomas Mann (Der Zauberberg, 1924).
Mentre i Grandi della Terra, oggi, si confrontano sulle misure da adottare nella lotta contro la pandemia da Sars Covid, un secolo fa Thomas Mann sceglieva come cornice per il proprio capolavoro proprio un sanatorio alpino in cui i protagonisti (i celebri cugini Castorp, la fatale Madame Chauchat, l'illuminista Settembrini e il gesuita Naphta) si erano autoreclusi nel (spesso) vano tentativo di lottare contro la malattia endemica dell'epoca, la tubercolosi.
Tubercolosi e Covid rappresentano, ad un secolo di distanza, lo spettro della decadenza, dell'incertezza e, nel disegno del grande scrittore tedesco, la fine di un'epoca, nel suo caso quella della Belle Epoque. Se mai qualcuno dovesse decidersi, un giorno, a stilare un repertorio dei luoghi reali che più hanno condizionato e trasformato la vita artistica e l'immaginario stesso del secolo scorso, i sanatori sorti lungo l'arco alpino tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento occuperebbero senz'altro un posto di riguardo, e il Berghof Hotel di Mann ne risulterebbe la punta di diamante.
Basti pensare a tutti coloro - celebri e meno celebri - che sono passati (ieri come oggi e con alterne fortune) attraverso l'esperienza della malattia e del ricovero.
In ordine sparso e limitatamente al periodo preso in esame: il regista francese Jean Vigo morto di tbc a soli ventinove anni nel 1934 durante le riprese del suo capolavoro, L'Atalante; gli scrittori George Orwell (1950), Franz Kafka (1924), Anton Cechov (1904), William Somerset Maugham (1965), Thomas Wolfe (1938), Kathleen Mansfield (1923); i poeti Guido Gozzano (1916) e Sergio Corazzini (1907); il drammaturgo Edmond Rostand (1918, a cui si deve il personaggio di Cyrano di Bergerac), il musicista Chopin (1849), il pittore Amedeo Modigliani (1920). Ma anche il matematico austriaco Erwin Schrödinger (Nobel per la Fisica) morto nel 1961, l'attrice Vivian Leigh (1967, la Rossella O'Hara di Via col vento), la pensatrice e attivista francese Simone Weil (1943), l'inventore francese Louis Braille (1852), l'economista francese Frédéric Bastiat (1850).
Il male del secolo scorso, come quello di oggi, fu forse la malattia più democratica della storia, visto che non risparmiò nemmeno reali, santi e potenti: il re Alfonso XII di Borbone morì di tubercolosi nel 1885, la mistica francese Thérèse Françoise Marie Martin (più nota come Santa Teresa di Lisieux) nel 1897, mentre l'ex first lady americana Eleanor Roosevelt (moglie del padre del New Deal) nel 1962.
Anche in questo campo non mancano i parenti di: è il caso di Matilde, la figlia prediletta di Manzoni, morta di tisi nel 1856 o di Johanne Sophie, sorella del pittore norvegese Edward Munch (quello dell'Urlo), scomparsa nel 1877.
Prima di loro, quando la malattia non era ancora stata ben definita e canonizzata, l'elenco dei morti per sospetta tubercolosi vanta nomi eccellenti come quelli dei poeti Novalis, Keats e Alfred Louis Charles de Musset, dei drammaturghi Moliere e Schiller, degli scrittori Laurence Sterne (suo il celebre Tristram Shandy) e Emily Brontë; la lista comprende eminenti scienziati e pensatori come Pascal, Spinoza, Thoreau e Celsius; musicisti come Pergolesi; eruditi come Francesco Algarotti e politici come James Monroe (quello della famosa Dottrina); ma anche un rivoluzionario come Simone Bolivar e, primo fra i primi, il pittore Antonello da Messina. Scampano miracolosamente al mal sottile, ma ne sono comunque influenzati per il resto della vita, personaggi come Goethe, Albert Camus, David Herbert Lawrence; più tardi anche Charles Bukowsky, Dashiell Hammett e il filosofo Gilles Deleuze.
Quanto alle contaminazioni artistiche generate dal connubio malattia-sanatorio l'elenco sarebbe infinito ma vale almeno la pena ricordarne i momenti principali. Per la letteratura risultano imprescindibili La Signora delle camelie (1848) di Dumas figlio, I fratelli Karamazov (1879) di Dostoevskij (che termina con la scena straziante del seppellimento del giovanissimo Iliuscia, morto di tubercolosi), La Montagna Incantata (1924) di Thomas Mann e la celebre A Silvia di Leopardi; alcuni racconti di Maupassant ambientati in Costa Azzurra, ma anche certi brani tratti da opere di Verga, Zola e Tolstoj; in tempi più recenti in Italia, Diceria dell'untore (1981) di Gesualdo Bufalino riattualizzò il tema, collocando la vicenda narrata in un sanatorio siciliano.
Nella musica sono rimasti celebri i personaggi di Violetta ne La Traviata di Verdi (1853) e la sublime Mimì di Puccini (La Bohème è del 1896, l'aria «Che gelida manina» tra le più conosciute al mondo).
Il cinema, dal canto suo, ha di recente prodotto sul tema lo splendido musical Moulin Rouge del regista Baz Luhrmann (2001), che si rifà in parte al soggetto originale di Henri Murger (Scènes de la vie de bohème, 1851) da cui presero spunto anche i librettisti di Puccini per la Bohème (Illica e Giacosa, una sorta di duo Mogol-Battisti del melodramma). Ma anche una delle poche (e sottovalutate) prove da regista di Nino Manfredi: Per grazia ricevuta (1971), Palma d'oro a Cannes.
Al di là delle letture e della fascinazione per le sorti di numerosi artisti del secolo passato - tutti in qualche modo sfiorati dal mal sottile e costretti quindi a frequentare i sanatori alpini, il luogo che aveva ispirato il Berghof Hotel immaginato da Mann è oggi quasi invisibile agli occhi del turista che vi capiti per sbaglio o per scelta, al contrario della smisurata (e anonima) struttura di ricezione (un Centro-Congressi alle porte della cittadina) che ogni anno ospita il celebre evento politico-mondano.
Raggiungibile attraverso il territorio svizzero lungo la A2 e la A13, l'impatto con Davos è subito spiazzante: una comune, ordinaria, normalissima cittadina turistica svizzera di media grandezza a 1500 metri sul livello del mare; dotata di alberghi, Spa, impianti di risalita e attrezzature per gli amanti dello sport, una specie di Saint Moritz in tono minore che non possiede davvero nulla di speciale per chi non sia appassionato di sport invernali.
Elementi in grado di collegarmi con le suggestioni letterarie? Solo le due stazioni ferroviarie di Davos-Dorf e Davos-Platz, le stesse in cui Hans Castorp transita prima di raggiungere il sanatorio.
Per raggiungere il sanatorio, oggi, è necessario recarsi in Davos Platz: una viuzza laterale porta alla funicolare che consente di raggiungere lo Shatzalp attraverso venti minuti di salita vertiginosa a bordo di una carrozza blu a quattro scomparti.
A 1861 metri di altezza ad accogliere l'ignaro visitatore, oggi c'è un romantico locale chiamato Shatzalp Restaurant; una struttura in legno, il tetto con le caratteristiche tegole di ardesia, tavolini e sedie rossi all'aperto con tanto di lampade accese.
La sagoma dell'ex sanatorio che ispirò Mann e più di recente il regista Paolo Sorrentino nel film Youth del 2015 (oggi ridenominato Berghotel Schatzalp, l'equivalente di un quattro stelle italiano) sorge di fronte. Un lungo portico di legno smaltato di bianco e una veranda introducono all'Hotel vero e proprio, in cui l'atmosfera da Belle Époque è ancora viva e le targhe metalliche riportano alcuni celebri brani del romanzo.
L'edificio - una imponente facciata bianca abbellita da profili rossi - è semplice, e si sviluppa su quattro livelli: le camere dei piani superiori sfruttano le ampie terrazze dell'ex sanatorio. Al piano terra una sala da pranzo in stile Liberty, un ampio foyer, la zona riservata al piano-bar, il ristorante. Davanti un ampio parco col panorama mozzafiato che dà verso le cime innevate di Pischahorn, Jakobshorn e Rinerhorn Hoch Ducan: boschi e prati, foreste di pini e sempreverdi, con le propaggini di Davos sullo sfondo.
Accanto all'hotel sorge un importante giardino botanico, lungo il fianco ovest lo Chalet e la villa, poco più in alto il parco (da cui parte il secondo tratto
della funicolare che porta fino allo Strelapass, a 2352 metri di altitudine), la Thomas Mann Platz e il Thomas Mann Weg, quello in cui Madame Chauchat e Hans Castorp passeggiavano e discutevano osservando gli altri pazienti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.