Così nelle acque del fiume Po si specchiano passato e futuro

Viaggio tra sagre del pesce gatto (americano) con giovani moldavi, vecchi italiani e tanta malinconia. Ma per cosa?

Così nelle acque del fiume Po si specchiano passato e futuro

L a fiera col calcinculo, le bancarelle per la vendita di pellets, il museo della giostra e dello spettacolo popolare a Bergantino, la cucina della sagra che sfornerà tortelli di zucca e focacce, lo zucchero filato e i Pungiball luminosi. La ditta che fornisce fuochi d'artificio che esporta persino a Dubai. Chi frequenta le fiere di paese? Le facce, i gesti, i vestiti: probabilmente giovani marocchini tornati dal lavoro in campagna, qualche moldavo, qualcuno che dalle città arriva a trovare i parenti lontani del paesello, qualche vecchia signora sopravvissuta all'atrazina, alle polveri sottili, al vino adulterato. C'è tutta una sana visione «Strapaesana» che rende esseri umani, natura e garage dai tetti in amianto, un correlativo oggettivo da percorrere per accorgersi come diventerà una certa Italia da qui all'eternità.

La megalopoli padana è una macroregione del nord che parte dal Piemonte, arriva in Lombardia, Veneto ed Emilia. Il Po, come una vena malata di acqua e Pfas, le attraversa. Segna confini geopolitici. Il mare dei lidi ferraresi lo annusi nell'aria, e lì ci sono le genti vacanziere, gli Spritz allungati da cubetti di ghiaccio, le insalate di polipo decongelato e le verdure in sacchetto, già lavate.

Il Po invece lo scopri fino in fondo alla pianura, dietro i pioppi. Decido di andare nella parte in cui le regioni sconfinano e i paesi prendono il nome di Bergantino, Sermide e Felonica, Castelnovo Bariano, Melara, Castelmassa, Pilastri. Sono tutti piccoli paesi a destra e a sinistra del Po, in cui gli spazi non sono divorati come nelle infinite distese di capannoni bresciani, bergamaschi e vicentini.

Qui, dove mi trovo, la produzione non sembra essere la condizione necessaria per consentire agli uomini di alimentare la propria esistenza. In questi giorni di polveri cosmiche e particelle che si incendiano nel cielo stellato alle quali gli esseri umani affidano desideri, le sagre e le fiere divorano gli spazi delle piazze, tra tensostrutture in plastica bianca, jersey di cemento armato, ponteggi, gru e tralicci di metallo. Tutto sembra illuminato da una sensazione imprecisata di disagio. Sarà la canicola fastidiosa d'agosto, ma la sagra di San Rocco, la sagra dal pesgàt (pesce gatto), la sagra di Santa Maria Assunta e del tirot, la XXIX Festa della zucca in zona artigianale, sparse tra Sermide e Felonica, Melara, Pilastri, Calto, raccontano i comportamenti umani attraverso il tempo libero privato, collettivo e pubblico. C'è Mario che ha creato il prototipo di un kit per farsi a casa il tiròt. Per preparare questa focaccia servono olio, farina, strutto, cipolla (rigorosamente di Felonica) e poco altro. Mario dice che vuole esportare questa focaccia sulla Quinta Strada di New York.

Lì in piazza c'è un chiosco prefabbricato in ferro e vetro dove servono bianchini e caffè freddi. Più in là un'autopista senza avventori ha le macchinine colorate su cui sventolano piccole bandiere italiane. Non c'è la solita musica dozzinale pompata a manetta perché laggiù, nello spiazzo del divertimento, non c'è nessuno. Dentro Palazzo Cavriani c'è il Museo della Seconda Guerra Mondiale del fiume Po. Al suo interno mi dà il benvenuto il reperto del blocco motore di un cacciabombardiere americano. Nel museo ci sono diorami di uomini in divisa a cavallo, soldati tedeschi che nuotano nel fiume, fucili, bombe a mano, medaglie e razione-K. Gigantografie di soldati giovani e spavaldi sono accompagnate da didascalie terribili: «Nel corso della missione l'aereo viene abbattuto e precipita al suolo» e così via.

Nello stesso immobile, vicino alla biblioteca comunale, c'è un cartello blu appeso al muro su cui la scritta bianca dice «Information technology Museum. Benvenuti al museo dell'evoluzione informatica di Felonica». Sembra un controsenso vedere pezzi di carro armato e mostrine riemerse dalla terra, vicine a primi modelli di computer IBM e MAC in disuso, carcasse di videogame arcade e joystick inutilizzati. Invece è tutto lì, in mezzo a un caldo estivo che piega anche il ferro.

Tutto prende la vertigine, la torpidità, moltiplicandole migliaia di volte ma fissandole in uno splendore acqueo, abbacinante. Si sale sull'argine e in un attimo si vede il campanile della pieve costruita quando i territori appartenevano a Matilde di Canossa. Lì sotto scorre subito il Po. Arriva da Cremona, dopo curve infinite, e se ne va verso il mare. Lì in mezzo c'è la casa galleggiante, che poi è una Canottieri, un'oasi per canoisti, re senza corona, ciclisti, pescatori, solitari impenitenti ed eremiti. La casa di legno, bianca e azzurra, è fissata su due enormi imbarcazioni. C'è sempre qualcuno che pesca, qualcuno seduto a guardare i motoscafi fermi al molo, qualcuno che fa piccole manutenzioni alle imbarcazioni o alle reti dei bilancini. Da questa parte c'è il Destra Po, all'altra sponda si è in Veneto e si vede il campanile di Calto (Rovigo). Aldo, un ex-ferroviere in pensione, mi dice che adesso non ci sono più i pesgàt originali, ma ci sono gli americani, ossia un pesce importato, molto simile al pesce gatto ma meno pregiato. Si riconosce dal colore: meno verde, meno lucido, con puntini bianchi sulla testa. Alzo gli occhi, stormi di folaghe passano in cielo tra nuvole tremolanti d'afa.

Diciamolo chiaro: in questi territori sono più di cinquant'anni che si legano con teli colorati enormi cumuli di fieno e paglia, e quando si sono visti gli impacchettamenti di Christo, a qualcuno sono parsi un deja-vu. Intanto qui sul fiume c'è sempre aria, e se si vuole prendere una boccata d'ossigeno caldo si deve passare di qua.

Se chiudiamo gli occhi possiamo sentire sterminate moltitudini di pioppeti dalla scorza bianca e liscia come la pelle dei bambini e possiamo ascoltare il brusio della natura, il frinire di cicale che non smettono mai di cantare. Si sente il sapore dell'acqua del fiume. Un sapore dolciastro, caratteristico, indimenticabile. Aldo dice: «Da ragazzo mi incontravo a vedere scorrere il Po col suo carico di lucci e anguille. Sono ancora qui. Sto posto me lo sogno di notte».

Ha la maestà di un felino, quest'acqua corrente e, come i felini, è capace di invadere e distruggere. Sa essere clemente e omicida. Un tempo dispensava ricchezza e povertà, ora dalla golena aperta un gruppo di ragazzi in costume sta facendo il bagno dalla base di attracco per le barche. Mi avvicino a loro, sono tre ragazzi che parlano e ridono tra loro. Un altro sta facendo una diretta webcam con qualcuno di cui sento solo la voce parlare una lingua lontana. «Di dove siete?». Sono ragazzi moldavi fermi in questa campagna esasperata. Hanno con sé qualche lattina di birra. Mi chiedono se possono tenerla lì. Nema problema. Forse immaginano di trovarsi a parlare con un vigile urbano in borghese, sono cauti come lepri. Lavorano in queste campagne arse piene di canali per l'irrigazione.

Sulla casa galleggiante c'è una coppia sui quaranta arrivata in kayak. Toccano remi.

Ermes salta su: «Ho visto due istrici sull'argine in questi giorni». I loro aculei possono servire per fare galleggianti leggeri e affusolati. «Ieri, mentre ero in giro, ne ho vista una spiaccicata per terra».

Qui le persone dicono che questi possono diventare territori turistici, si possono sfruttare le bellezze naturalistiche, le strade ciclabili, il cibo. Venite a sperimentare un insolito mix di antiche tradizioni, divertimento, architetture parafunzionaliste sovietiche. Venite.

Dove nei paesi si possono vedere agenzie di pompe funebri musulmane, vecchie insegne di sedi del PSI, pizzerie in stile neo-classico White house americano, Cristi giganti a braccia aperte, come fossimo a Rio de Janeiro. Il business è servito! Venite a provare un senso di abbacinante melanconia per non si sa cosa. C'è chi organizza tour per andare a Chernobyl, perché non venire anche qui?

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