Così Sinclair Lewis rifiutò il Pulitzer: "I premi letterari? Covi di illetterati"

Nel 1926 lo scrittore americano non accettò il prestigioso riconoscimento: "Si scelgono gli autori più buoni, non i bravi"

Così Sinclair Lewis rifiutò il Pulitzer: "I premi letterari? Covi di illetterati"

di Sinclair Lewis

26 maggio 1926

Egregi signori,

vorrei ringraziarvi per aver assegnato il Premio Pulitzer al mio romanzo Arrowsmith. Premio che sono costretto a rifiutare e tale rifiuto non avrebbe senso se non vi spiegassi le ragioni.

Tutti i premi, come del resto anche i titoli e le onorificenze, sono pericolose. Gli scrittori che vogliono vincere dei premi prestigiosi tendono a lavorare non per l'eccellenza, ma per queste riconoscenze amene. Si tende a scrivere in modo timoroso per non stuzzicare i pregiudizi di una commissione creata dal caso. E il Premio Pulitzer per i romanzi è particolarmente discutibile perché il regolamento è stato costantemente e gravemente travisato.

Infatti, i termini per l'assegnazione del premio sono per il romanzo americano pubblicato nel corso dell'anno che riesce a rappresentare al meglio l'atmosfera della vita americana nel suo più alto livello di educazione e virtù. Questa frase, se significa qualcosa, vorrebbe indicare che la valutazione dei romanzi deve essere fatta non in base al loro merito letterario, ma in obbedienza a un qualsivoglia codice di buona forma che potrebbe essere popolare in un momento storico.

Che ci sia una tale limitazione del premio è poco comprensibile, sia per la riduzione che l'annuncio riporta e sia perché alcuni editori hanno strombazzato su tutti i giornali che ogni romanzo che ha ricevuto il Premio Pulitzer è, senza alcun dubbio, il miglior romanzo in assoluto. Il pubblico è indotto a credere, infatti, che il premio sia il più grande onore che un romanziere americano possa ricevere.

Il Premio Pulitzer, per essere accettato in questo modo dagli scrittori, rappresenta molto di più che un migliaio di dollari per la vittoria. C'è la credenza generale che gli amministratori del premio siano come un organismo pontificio, unico organo che abbia con il potere di individuare l'opera con maggiori meriti. Si ritiene che siano sempre guidati da un comitato di critici responsabili, anche se nel caso sia di questo che di altri premi Pulitzer, gli amministratori possono fare, a volte, scelte piuttosto arbitrarie e respingere ottimi suggerimenti.

Se oggi il Premio Pulitzer è così importante, non è assurdo pensare che in una futura generazione potrebbe diventare l'unico obiettivo per il quale ogni romanziere ambizioso s'impegnerà; e gli amministratori del premio potrebbero diventare un organo giurisdizionale supremo, un collegio di cardinali, così radicati e così sacri che a sfidarli si rischierebbe di diventare blasfemi.

Solo rifiutando sistematicamente il premio Pulitzer, i romanzieri possono impedire che un tale potere venga imposto su di loro.

Il Premio Pulitzer e l'Accademia Americana delle Arti e delle Lettere sono l'inquisizione di seriosi signori letterari: tutto questo spinge gli scrittori a diventare cauti, gentili, obbedienti, e sterili. In segno di protesta, ho rifiutato l'elezione dell'Istituto nazionale delle Arti e delle Lettere alcuni anni fa, e ora devo declinare il Premio Pulitzer.

Invito gli altri scrittori a considerare il fatto che, accettando i premi e l'approvazione

di queste vaghe istituzioni, stiamo ammettendo la loro autorità, e attribuiamo pubblicamente ai giudici un'eccellenza letteraria, e mi chiedo se qualsiasi premio valga questa sottomissione.

(traduzione di Michele Crescenzo)

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