Tommaso Paradiso è una boccata di nostalgia nel pop italiano. Attenzione: nostalgia magari canaglia ma non triste anzi, divertita e colorata. E difatti nel nuovo disco Space Cowboy (che lui traduce scherzosamente «vaccaro dello spazio») ha tolto «tutto i sintetizzatori, gli arrangiamenti e gli orpelli che mettevo prima». In sostanza: le canzoni sono più essenziali e decisamente in controtendenza rispetto alla corsa all'ultimo effetto speciale di tanta musica che ci gira intorno. «Voglio fare cose che non sento altrove». Da quando era con i Thegiornalisti («Ma i dischi li facevo comunque io da solo con altri produttori»), l'ormai barbutissimo Tommaso Paradiso è sganciato dal rituale modaiolo e a hip hop, trap oppure urban ha sempre preferito i binari della canzone popolare italiana. «Ogni tanto mi vedo con Paolo Sorrentino e siamo molto d'accordo su di un punto in particolare».
Ossia?
«Anche lui dice che vuole un cinema che non vede altrove».
A proposito, il film di Tommaso Paradiso quando esce?
«Esce a fine aprile. Avevo in mente una storia da film e non da canzone e ci ho pensato per 5 o 6 anni».
Si intitola Sulle nuvole, il protagonista è un cantante e Sulle nuvole è anche un brano dell'album. Quindi è un film autobiografico?
«Ci sono senza dubbio dei tratti in comune, e penso al bisogno di vivere tutto al massimo. Ma spero di non fare la stessa fine del protagonista, che ha una vita travagliata. Io spero di averla meno tortuosa».
Allora Tommaso Paradiso è il «vaccaro dello spazio», ossia lo space cowboy del titolo.
«In questo momento sì: voglio fare l'americano ma nel mio cuore c'è Vasco. L'America è un orizzonte, un faro anche nella musica, la cita Vasco, la cita De Gregori. Ma poi mi basta registrare il disco sulla costiera amalfitana, davanti al mare, e ritorna fortissima l'anima italiana. In certi momenti delle registrazioni si sente pure il frinire delle cicale. Avrei potuto toglierlo, ma non l'ho fatto».
In un brano (Amico vero) c'è Franco 126.
«Prima di scriverlo ci siamo parlati: Che vogliamo fa?. E lui, con il suo vocione alla Califano mi dice: Descriviamo l'Italia. Così ci siamo immaginati di attraversarla in auto nel bel mezzo di agosto».
Lei ha amici?
«Il primo che mi viene in mente è Calcutta. Spesso ci chiedono di fare una sorta di Banana Republic di questo tempo. Mah, ci siamo scambiati i profili Instagram, figurarsi fare uno stadio insieme. C'è lui ma ci sono altri. Con Elisa e Jovanotti ci sentiamo quasi ogni settimana, poi posso ritenere amici Salmo, Dardust, Takagi e Ketra e altri».
Space cowboy è il suo primo disco da solista. Che differenza c'è con gli altri pubblicati con i Thegiornalisti?
«Direi nessuna differenza, cambia solo il nome».
Lei ama la tradizione pop italiana, perché non ha mai partecipato al Festival di Sanremo?
«Penso proprio che da concorrente non andrò mai all'Ariston perché non amo le gare canore».
Però quest'anno si diceva che sarebbe arrivato come ospite o addirittura coconduttore.
«Anche io mi sono chiesto come mai sia uscita quella voce. In ogni caso, Sanremo è definito il Festival della canzone italiana. Talvolta si è usato il playback e io non sono contrario perché può sfuggire un'interpretazione non all'altezza e la qualità del brano passa in secondo piano».
Però questa è la grande sfida dei grandi artisti. Bob Dylan, ad esempio, non brilla certo per le qualità vocali ma per i brani.
«Diciamo che ai tempi di Bob Dylan non c'era Instagram».
Nel video di Tutte le notti ci sarà Christian De Sica.
«Tutto il pubblico snob e intellettuale lo denigra per qualche frase trash, ma in realtà è un attore incredibile che ha recitato anche in molti film drammatici. Christian è l'unico l'anello di congiunzione oggi tra la vecchia scuola della grande commedia italiana (firmata Sonego, Flaiano, Risi, Scola, De Sica padre, Gassman padre) e la nuova scuola».
Lelio Luttazzi lo definiva «il miglior cantante
italiano di swing». Magari potrebbe invitarlo in qualcuno dei concerti nei teatri dal 25 marzo per Vivo Concerti.«E perché no? Una volta ho invitato anche Jerry Calà. Mi piacciono le scelte che sparigliano le carte».
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